Serve Deposito Nazionale per gestire le scorie radioattive
In Italia l’era del nucleare è stata relativamente breve, eppure ancora oggi sono molti i problemi che ha determinato. Per esempio le scorie radioattive sono attualmente conservate in tanti siti poco sicuri in tutta la penisola italiana. Mancano un deposito nazionale, normative e controlli adeguati. È questo il quadro dipinto dalla relazione della Commissione Ecomafie sui rifiuti radioattivi in Italia.
La Cnapi (Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee) ha però individuato le località che maggiormente rispettano i requisiti per ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e il Parco Tecnologico. Questo accoglierà 78mila m³ di rifiuti a bassa e media intensità. Non solo ci saranno gli scarti delle centrali nucleari ma anche quelli provenienti da industrie, laboratori di ricerca e da applicazioni sanitarie negli ospedali. Inoltre nel deposito finiranno anche i rifiuti che l’Italia ha spedito temporaneamente all’estero, dietro pagamento.
Eppure il relatore dell’inchiesta sul Deposito Nazionale di rifiuti radioattivi della Commissione Ecomafie, il deputato Giovanni Vianello, chiarisce come la questione presenti lati oscuri.
«Il Deposito Nazionale ospiterà in modo permanente solo i rifiuti radioattivi a bassa e a molto bassa attività e “temporaneamente” quelli a media e alta attività che al momento non hanno ancora una destinazione definitiva – commenta il deputato -. Il problema ricadrà sulle generazioni future».
Ulteriori aspetti presi in considerazione dalla Commissione
Inoltre la Commissione evidenzia anche i dubbi sulla gestione degli impianti e delle scorie nucleari da parte della società pubblica SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari). Questa viene pagata dai cittadini attraverso una quota sulle bollette elettriche. In questi anni, però, ci sono stati considerevoli aumenti di tempi e di costi a carico della collettività.
La realizzazione del Deposito Nazionale è quindi ancora più importante per evitare l’ulteriore aumento delle tariffe e del periodo per il decommissioning, cioè lo smantellamento degli impianti nucleari. Infatti attualmente il costo è pari a 7,9miliardi di euro e la fine della disattivazione è prevista per il 2035.
Scorie radioattive in Italia e all’estero
In attesa del Deposito Nazionale, dove sono oggi custodite le scorie radioattive? L’Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) ha completato nel 2017 l’Inventario nazionale dei rifiuti radioattivi. Il censimento contiene informazioni su volumi, masse, stato fisico, radioattività e condizioni di stoccaggio dei rifiuti, compresi il combustibile esaurito e le sorgenti dismesse.
Le scorie atomiche sono distribuite in tutta Italia. La maggior parte è in depositi piccoli e temporanei. Mentre sono poco più di venti i depositi di dimensioni maggiori dove continuano ad affluire i materiali contaminati. In Piemonte è accumulata la maggior quantità di scorie nucleari in termini di radioattività. Invece nel Lazio è presente una maggiore quantità di rifiuti atomici in termini di volume occupato.
Tuttavia circa il 95% del combustibile irraggiato delle quattro centrali nucleari nazionali dismesse non si trova più in Italia. È stato inviato in Francia e in Gran Bretagna, dove è stato riprocessato. Da questo procedimento è stato prodotto materiale nucleare riutilizzabile e i rifiuti radioattivi sono stoccati in contenitori che aspettano di fare ritorno in Italia.
Perciò sono solo 16 tonnellate le scorie presenti ancora nel nostro Paese. Esse si trovano principalmente nei depositi ITREC (Impianto di Trattamento e Rifabbricazione Elementi di Combustibile) di Trisaia a Rotondella (Matera), Opec 1 e Triga Tc 1 della Casaccia (Roma), Ccr (Centro comune di ricerca) di Ispra (Varese) e LENA (Laboratorio Energia Nucleare Applicata) nell’Università degli Studi di Pavia.
Si riapre il dibattitto sul nucleare
Nonostante il problema irrisolto delle scorie e i pericoli legati alle centrali nucleari, in Europa si torna a parlare di energia nucleare. Infatti, come evidenzia anche la testata tedesca “Die Tageszeitung”, nella bozza della cosiddetta tassonomia verde, una classificazione delle attività economiche e degli investimenti green, la Commissione Europea ha inserito sia questo tipo di energia sia il gas naturale tra le opzioni sostenibili.
Questa decisione è frutto di un compromesso tra gli interessi dei vari Stati membri dell’Unione Europea. Infatti la Francia punta ancora sulle centrali atomiche, mentre la Germania vorrebbe preservare il valore del gas proveniente dalla Russia, per agevolare i rapporti con questo Paese. Tuttavia, sebbene la tassonomia non sia un programma vincolante, questa scelta farebbe sì che le centrali atomiche possano essere approvate fino al 2045, il che significa che resterebbero in funzione fino al 2080.
Al contrario, da tempo il nostro Paese ha deciso di dire “no” al nucleare. L’inizio della produzione di energia elettrica da fonte nucleare in Italia risale ai primi anni sessanta e già nel 1966 il nostro Paese figurava come terzo produttore al mondo di questo tipo di energia, dopo Stati Uniti e Inghilterra.
Tuttavia negli anni ottanta aumentò la preoccupazione riguardo la sicurezza degli impianti nucleari, soprattutto in seguito all’incidente avvenuto a Černobyl’. Ma solo tra il 1988 e il 1990 si riuscì a porre fine, tramite un referendum, all’esperienza elettronucleare italiana, con l’abbandono del Progetto Unificato Nucleare e la chiusura delle tre centrali ancora funzionanti di Latina, Trino e Caorso.
Dalle Regioni arriva un secco “Niet”
Intanto, in merito alla realizzazione del Deposito Nazionale, sino a oggi nessuna delle sessantasette aree individuate dalla CNAPI ha avanzato la propria candidatura. A questo punto, senza una intesa con i territori, c’è il rischio – afferma il deputato pugliese – che il governo centrale possa imporre la propria decisione.
«L’invito al ministro Cingolani è quello di impegnarsi di più per risolvere i problemi già esistenti e causati dalla passata stagione nucleare italiana e di parlare di meno di nuove centrali nucleari, se non altro perché ci sono già stati due referendum», conclude Vianello.