DUE LIBRI, APPARENTEMENTE DIVERSI, SONO ACCUMUNATI DAL COMUNE INTENTO DI SVELARE COME GLI ELEMENTI NATURALI TESSONO STORIE E VITE, DISPIEGATE NEL TEMPO.
Il mondo naturale ha sempre conservato un lato misterioso e celato alla conoscenza umana, una magia inspiegabile che ha ispirato nel tempo scrittori e artisti. Questo mistero spesso si lega anche alla figura femminile. Perciò non stupisce la scelta fatta dalla biologa Aina Erice, la quale, insieme alla talentuosa illustratrice Amanda Mijangos, ha deciso di scrivere un libro che racconti la storia di donne che hanno vinto le sfide del loro tempo proprio grazie all’aiuto della Natura.
In “Viriditas. Le donne della botanica” Aboca Edizioni, in uscita il 23 febbraio, l’autrice racconta come questi personaggi femminili, ritenuti dalle convinzioni dell’epoca meno intelligenti e meno capaci degli uomini, combattono questi pregiudizi proprio grazie alle piante, specie anch’essa sottovalutata.
Quelle raccontate sono solo alcune storie di donne che, insieme all’aiuto prezioso della natura, hanno cambiato il mondo. Hanno sconfitto parassiti mortali, la fame e la povertà, infondendo quell’energia positiva, quel vigore, quella vita che mancava.
“Viriditas”, storie di donne ed elementi naturali
Tra le storie riportate in queste pagine c’è quella dell’infermiera Jeanne Baret. Riuscì a fare il giro del mondo imbarcandosi, travestita da uomo, in una grande spedizione che la portò a scoprire la bougainvillea, la nota pianta i cui fiori sono simbolo di passione e di benvenuto.
La scienziata Mary Elizabeth Barber, invece, fu la prima donna residente in Sudafrica a pubblicare un articolo scientifico su una rivista inglese. Il suo interesse per la natura fu condiviso con Charles Darwin, biologo e naturalista, ricordato ancora oggi per la sua teoria dell’evoluzione, con il quale intrattenne una fitta corrispondenza.
Un’altra storia raccontata dall’autrice nel libro è quella di Tu Youyou. La chimica cinese vinse il Nobel per la medicina per essere riuscita a estrarre il principio attivo dell’Artemisia annua, indispensabile per curare efficacemente la malaria.
Infine, sempre grazie all’intuito femminile, si sconfisse la fame: la canna da zucchero si fece più dolce, numerose alghe dell’Oceano Pacifico furono classificate e le patate divennero farina.
“L’elemento del diavolo”, il paradosso del fosforo
Ma il mistero degli elementi naturali non ha incantato solo le donne. Molti sono gli uomini che hanno sperimentato alla ricerca di una scoperta che segnasse il mondo. Tra questi sicuramente c’è l’alchimista tedesco Henning Brandt. Nel 1669 ad Amburgo, nella vana speranza di inventare la “pietra filosofale”, capace secondo la leggenda di trasmutare ogni metallo in oro e di curare qualsiasi malattia, scoprì e isolò per la prima volta il fosforo.
La storia di questo elemento chimico è il tema del libro “L’elemento del diavolo. Il fosforo e l’equilibrio precario del ciclo della vita” (Aboca Edizioni) dello scrittore e giornalista Dan Egan, in libreria dal 26 gennaio. La penna di Dan Egan, due volte finalista al premio Pulitzer, delinea un resoconto scientifico essenziale e illuminante su una delle questioni ambientali più pericolose ma meno conosciute del nostro tempo, un’indagine sul passato, il presente e il futuro del “petrolio del nostro tempo”.
Fosforo tra gli elementi naturali “miracolosi”
La storia del fosforo abbraccia tutto il mondo e tutte le epoche. Con il nome che trae origine dal greco antico e che significa “portatore di luce”, questo è uno degli elementi naturali più importanti per la vita sulla Terra. È infatti presente nelle nostre ossa, nei nostri denti e persino nei nostri DNA e RNA.
Tuttavia questa sostanza, come lo ha ben descritto il celebre scrittore Primo Levi, «non è un elemento emotivamente neutro». Molti sono gli aneddoti macabri che si legano al fosforo, raccontati in precedenza dal divulgatore John Emsley nel suo libro “The Thirteenth Element. A Sordid Tale of Murder, Fire and Phosphorus”.
Inizialmente eletto a medicamentum universale, poi a scoprirne i benefici è stata l’industria fino a quando non fu impiegato durante le due guerre mondiali, provocando un numero imprecisato di morti atroci.
Dan Egan ripercorre la sua storia e la corsa alla sua estrazione: dai campi della Battaglia di Waterloo, che venivano saccheggiati in cerca delle ossa dei soldati caduti, alle leggendarie Isole del guano al largo del Perù, dalla Bone Valley della Florida e alle dune di sabbia del Sahara occidentale.
Dalla medicina al campo di battaglia: gli usi nel tempo
Risale ai primi anni del 1700 la convinzione che il fosforo bianco, per via della sua miracolosa luminescenza, potesse essere utilizzato come sostanza medicinale. Si somministrava in piccole pastiglie o come “tonico” da bere per curare una varietà di disturbi fisici e psicologici.
Questa pratica si rafforzò poi dopo il 1719, con la scoperta del chimico Johann Thomas Hensing della sua presenza nel cervello umano. In realtà gli sviluppi scientifici successivi hanno dimostrato come il fosforo bianco sia un veleno estremamente tossico, la cui dose letale è inferiore addirittura di quella del cianuro. Tuttavia, visto che la sua solubilità in acqua era molto bassa, l’assimilazione era abbastanza difficile. Si impedì così casualmente la morte immediata per avvelenamento.
Successivamente anche il settore industriale ha cominciato a sfruttare le caratteristiche del fosforo, per esempio nella produzione di vetri speciali, porcellane, acciai e bronzi.
Nell’età vittoriana, il fosforo bianco divenne l’ingrediente principale dei fiammiferi, per via della sua piroforicità, cioè la sua tendenza a infiammarsi spontaneamente a contatto con l’aria. Purtroppo, però, molte lavoratrici in queste fabbriche furono vittime dell’osteonecrosi della mascella, che provocava un decadimento irreversibile del tessuto osseo della mandibola. Per queste ragioni, l’utilizzo del fosforo bianco nei fiammiferi fu vietato dall’inizio del Novecento e sostituito con il fosforo rosso, meno reattivo.
Purtroppo l’uso letale di questa sostanza avvenne anche in guerra. Durante i conflitti mondiali, il fosforo bianco venne riscoperto come arma incendiaria. Inoltre la sostanza crea barriere di fumo denso e irritante. Essendo poi classificato come fumogeno, continua a essere utilizzato per scopi bellici. L’ultima volta avvenne nel 2005, quando le truppe statunitensi lo usarono nella città irachena di Fallujah, provocando centinaia di morti.
Fosforo come il petrolio del nostro tempo
Non va dimenticato però che il fosforo, insieme con l’azoto, è alla base dei fertilizzanti e quindi ha reso l’agricoltura molto più produttiva. Eppure, come sottolinea la pubblicazione di Dan Egan, la nostra dipendenza eccessiva da questo nutriente vitale per le colture sta oggi causando fioriture di alghe tossiche e “zone morte” nei corsi d’acqua. Inoltre l’enorme sfruttamento degli ultimi decenni ha ridotto di parecchio le riserve accertate, oggi stimate in 30-40 anni sulla base dei consumi attuali.
Attualmente quindi il fosforo è prezioso e ambito come i combustibili fossili, ma stiamo esaurendo la sua disponibilità a una velocità tale che, proprio come per il petrolio, alcuni scienziati temono che raggiungeremo “il picco del fosforo” nel giro di pochi decenni, con un impatto determinante sulla futura scarsità di cibo, una seria minaccia che rischia di aumentare conflitti e guerre.
“L’elemento del diavolo. Il fosforo e l’equilibrio precario del ciclo della vita” sottolinea proprio questo paradosso del fosforo: stiamo consumando le nostre sempre più scarse riserve di roccia fosforica estraibile, ma allo stesso tempo stiamo inquinando le nostre acque con dosi eccessive di fosforo, facendole diventare nocive per l’ambiente e per la nostra salute.