domenica, Febbraio 16, 2025

Dissesto idrogeologico in Italia: piaga causata dall’uomo

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UNO DEI PAESI CHE SUBISCE DI PIÙ LE DEVASTANTI CONSEGUENZE DEL DISSESTO IDROGEOLOGICO È L’ITALIA. COLPEVI SONO SOPRATTUTTO L’AZIONE UMANA E UNA GESTIONE INEFFICACE DEL RISCHIO

Il dissesto idrogeologico è uno dei problemi che affligge il nostro Paese. In Italia, infatti, avvengono circa 2/3 delle frane che si verificano in Europa ed è il territorio che subisce di più gli effetti di violente piogge.

«L’Italia è un Paese giovane. Dal punto di vista geologico vuol dire che ha catene montuose che si sono formate in tempi recenti – spiega Luca Maria Falconi, ricercatore dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) -. Le Alpi hanno qualche decina di milioni di anni e rispetto ad altri territori è un’età giovane. L’Appennino ne ha ancora meno nell’ordine di milioni di anni.

Le forme con cui si sono sviluppate sono quindi ancora soggette ai movimenti di smantellamento dovuti agli agenti esogeni. In altre parole una catena montuosa si forma attraverso movimenti tettonici che di fatto rompono la crosta terrestre e portano a emergere spigoli vivi dalla superficie terrestre. Questi spigoli vivi, cioè in sollevamento, vengono poi smussati da vento, acqua e altri agenti esogeni, portando così il materiale abraso a valle. È un processo ancora attivo. I processi di smantellamento sono perciò la causa dei processi geomorfologici e dei fenomeni franosi».

Questa degradazione ambientale, dovuta principalmente all’attività di erosione delle acque superficiali provoca gravi impatti sull’ambiente, sulle infrastrutture, sull’economia e, soprattutto, sulla popolazione.

Impatto del climate change sul dissesto idrogeologico

Non sono però solo le caratteristiche meteo-climatiche, topografiche, morfologiche e geologiche del nostro territorio a provocare fenomeni collegati al dissesto idrogeologico. Fattori determinanti sono anche quelli dovuti all’azione dell’uomo.

Il disboscamento e l’incremento delle aree urbanizzate, verificatosi spesso in assenza di una corretta pianificazione territoriale, hanno portato a un considerevole aumento delle aree a rischio frane e alluvioni. La costruzione di edifici, strade, scavi ha determinato l’aumento delle superfici artificiali dal 2,7% negli anni ‘50 al 7,11% del 2020. Contemporaneamente è cresciuto l’abbandono delle aree rurali montane e collinari, che ha determinato una mancata manutenzione del territorio.

Non bisogna poi dimenticare l’impatto dei cambiamenti climatici. L’aumento delle temperature, la conseguente degradazione del permafrost in alta quota e la maggiore frequenza di piogge intense stanno determinando l’incremento di frane superficiali, di colate detritiche e di piene rapide e improvvise (flash floods).

«L’incremento della pericolosità da valanghe è legato al cambiamento climatico – conferma Giuseppe Travìa, dirigente della divisione “Valutazione, prevenzione, mitigazione e monitoraggio integrato del rischio idrogeologico” del ministero della Transizione ecologica – e all’innalzamento delle temperature medie».

Anche il regime pluviometrico tende a cambiare. Infatti sono minori gli eventi di pioggia ma si verificano con maggiore concentrazione e intensità.

«Studi indicano che nel tratto alpino, nel futuro, ci saranno meno colate rapide perché si registrano temperature più miti rispetto al passato, che comporteranno un minor grado di degradazione delle pareti rocciose – afferma Falconi -. Quindi si formerà meno materiale detritico per questa particolare tipologia di frana. Al contrario, in territori più aridi aumenterà il rischio di incendi. E siccome le aree incendiate sono più soggette allo sviluppo di colate rapide, qui il trend è inverso. Si può prevedere quindi che al sud Italia ci saranno maggiori colate rapide in futuro».

Tutta Italia a rischio dissesto idrogeologico

I dati riportati dall’ISPRA nel rapporto Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischi disegnano una situazione drammatica nel nostro Paese.

Ben il 93,9% dei comuni italiani è ritenuto a rischio per frane, alluvioni o erosione costiera. Il 18,4% del territorio nazionale è classificato a maggiore pericolosità per frane e alluvioni.

841 chilometri di litorali sono soggetti a erosione, pari al 17,9% delle coste basse italiane. In generale 1,3 milioni di abitanti risultano in pericolo a causa di frane e 6,8 milioni di abitanti per le alluvioni. Le regioni più a rischio sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria.

In particolare, per quanto riguarda la catalogazione delle frane sul territorio si usa distinguere la tipologia specifica. Infatti, in base al modo in cui la superficie terrestre si modella nel tempo, si verificano diverse dinamiche. Per esempio ci sono aree più propense allo sviluppo di crolli, altre a scorrimenti e fenomeni del substrato, e altre ancora sono più soggette allo sviluppo di colate rapide.

Generalmente, però, sono 26.386 km² il totale delle aree considerate a elevata e molto elevata pericolosità di frana (8,7%), che si concentrano soprattutto lungo l’arco alpino e l’Appennino.

Si trovano soprattutto in Toscana, Emilia-Romagna, Valle d’Aosta, Campania, Abruzzo, Sardegna, Piemonte, Lombardia e nella Provincia Autonoma di Trento.

Invece le regioni con il numero maggiore di abitanti a rischio più elevato di frane sono Campania, Toscana, Liguria, Sicilia, Lazio ed Emilia-Romagna.

Gli edifici o complessi a rischio frane in Italia sono oltre 1,8 milioni, mentre i beni culturali in pericolo sono oltre 38mila. In più le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84mila, con circa 220mila addetti esposti a rischio.

Il rischio di alluvioni e allagamenti

Oltre il rischio frane, molti territori subiscono un altro tipo di minaccia collegata al problema del dissesto idrogeologico: il pericolo di alluvioni e allagamenti.

Le regioni che ospitano più territori potenzialmente a rischio allagamento sono Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana e Calabria. In Italia il 3,5% della popolazione risiede in aree a rischio alluvioni, cioè 2.431.847 abitanti, che risiedono soprattutto in Veneto, Liguria, Emilia-Romagna e Toscana. Sono a rischio anche il 4,3% degli edifici, il 4,7% delle imprese e il 7,8% dei beni culturali.

Frane e alluvioni nella storia dell’Italia

Negli anni si sono succedute tragedie che hanno colpito varie parti d’Italia proprio legate al dissesto idrogeologico del nostro territorio. Infatti il disastro che ha colpito recentemente l’isola di Ischia è l’ultimo di una lunga serie di episodi catastrofici.

Per esempio nel 1951, a seguito di piogge intense e prolungate, le acque del Po inondarono varie città in provincia di Rovigo, causando 138 vittime e almeno 140mila sfollati, oltre ai danni all’agricoltura.

Un altro incidente che ha segnato purtroppo i ricordi di molti è la strage del Vajont del 1963, quando una disastrosa frana provocò la morte di 1921 persone. Infine è rilevante anche ciò che è accaduto nel 1994 in Piemonte. Piogge particolarmente intense hanno provocato decine d’inondazioni e migliaia di frane, che causarono 172 vittime e 9500 persone furono evacuate.

Selezionando la Regione sono visibili gli eventi disastrosi a maggiore impatto dal dopoguerra

Italia, un Paese fragile e poco resiliente

«L’Italia è fragile – ha spiegato il direttore generale dell’ISPRA Maria Siclari – perché poco resiliente ai rischi naturali». Come, quindi, si è scelto di affrontare la fragilità del nostro Paese? In realtà, a eccezione del Regio Decreto 3267 del 30 dicembre 1923, focalizzato sul vincolo idrogeologico, la gestione dei boschi e la sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani, in Italia si è verificato un forte ritardo nella promulgazione di norme che affrontassero in maniera adeguata fenomeni naturali, come frane e alluvioni, nella pianificazione territoriale e urbanistica.

La Legge 183 del 18 maggio 1989 rappresenta infatti la prima norma organica per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo, che individua:

  • il bacino idrografico come base territoriale di riferimento per la protezione idrogeologica;
  • le Autorità di bacino come istituzioni responsabili della predisposizione del Piano di Bacino per i laghi di rilievo nazionale, mentre alle Regioni è affidata per gli invasi minori.

Il Piano di Bacino si pone come strumento fondamentale per la pianificazione territoriale e programmazione delle azioni e delle norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa, alla valorizzazione del suolo e al corretto utilizzo delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche e ambientali del territorio.

Secondo le intenzioni del legislatore, questo doveva governare il ciclo dell’acqua, con particolare riguardo a:

  • difesa dalle piene;
  • difesa dai dissesti;
  • salvaguardia delle acque dall’inquinamento;
  • ottimale gestione della risorsa.

Ritardi normativi nell’affrontare il dissesto idrogeologico

Tuttavia, fino all’evento catastrofico di Sarno del 5 maggio 1998, la Legge 183 del 1989 non ha avuto piena attuazione. Novità dal punto di vista legislativo si sono avute solo con il decreto legislativo 152 del 1999, con il quale la programmazione della salvaguardia delle acque fu affidata alle Regioni, con la redazione dei Piani di Tutela delle Acque.

Successivamente il decreto-legge 279 del 12 ottobre 2000 ha stabilito interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato, di notevole importanza dati i gravi danni verificatisi nel territorio del comune di Soverato in Calabria in quel periodo.

Infine è sicuramente rilevante il decreto legislativo 49 del 23 febbraio 2010, che attua ciò che è stabilito dalla direttiva 2007/60/CE. In particolare questa norma disciplina le attività di valutazione e di gestione dei rischi di alluvioni, al fine di ridurre le conseguenze negative per la salute umana, per il territorio, per i beni, per l’ambiente, per il patrimonio culturale e per le attività economiche e sociali.

Nel decreto si fa riferimento anche ai diversi compiti che ricadono sulle istituzioni: “Le Regioni, in coordinamento tra loro e con il Dipartimento nazionale della Protezione Civile, provvedono, per il distretto idrografico di riferimento, alla predisposizione e all’attuazione del sistema di allertamento nazionale, statale e regionale, per il rischio idraulico ai fini di protezione civile”.

In caso poi le amministrazioni competenti riscontrassero un problema nella gestione dei rischi e non riescano a risolvere autonomamente, possono informare tempestivamente il ministero dell’Ambiente o il Dipartimento della Protezione Civile della presidenza del Consiglio dei ministri, ciascuno per gli aspetti di propria competenza. Questi poi provvedono a sottoporre la questione alla Commissione Europea o a ogni altro Stato membro interessato.

Una gestione delle emergenze che resta locale

A chi spetta perciò intervenire in caso di frane e alluvioni sul nostro territorio? A chiarire questo problema è la Protezione Civile nazionale. La gestione di queste emergenze è prevalentemente locale.

È compito delle Regioni e delle Province Autonome diramare le allerte, mentre spetta ai sindaci, insieme ai responsabili sul territorio in materia, attivare i piani comunali di protezione civile, informare i cittadini sulle situazioni di rischio e decidere le azioni da intraprendere per tutelare la popolazione.

Se questi fenomeni, però, coinvolgono più aree e il Comune non risulta in grado di gestirli autonomamente, può intervenire la Protezione Civile regionale. Infine, con la dichiarazione dello stato di emergenza, come è accaduto nel tragico caso di Ischia, il compito passa alla Protezione Civile nazionale.

Il suo coinvolgimento è di natura economica e tecnica. Si occupa principalmente di valutare e ridurre il rischio residuo. Essendo la frana un evento in continuo movimento, è necessario valutare se nella zona si possono verificare altri eventi franosi successivi. Inoltre la Protezione Civile deve ripristinare i servizi essenziali quali luce, gas e acqua. Infine assiste la popolazione e gli sfollati, anche a livello economico per trovare a tutti un rifugio sicuro.

Il sopralluogo nelle aree del nuorese colpite dall’eccezionale ondata di maltempo del 29 novembre 2020 e le attività per liberare le strade da fango e detriti

Il ruolo dei Vigili del Fuoco nell’affrontare le emergenze

Non bisogna però dimenticare che l’articolo 10 del decreto legislativo del 2 gennaio 2018 fa riferimento anche alle funzioni di un altro organo: i Vigili del Fuoco.

In occasione degli eventi calamitosi, il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, quale componente fondamentale del Servizio nazionale della protezione civile, assicura, gli interventi di soccorso tecnico urgenti e di ricerca e salvataggio, assumendone la direzione e la responsabilità nell’immediatezza degli eventi. Mentre nessun ruolo rivestono per quanto riguarda la prevenzione del rischio.

È evidente, però, che questa gestione locale del rischio renda complicato affrontare situazioni di emergenza in maniera più rapida e sincronizzata. L’organizzazione tra i territori sarebbe infatti essenziale per far fronte al problema, che, come i dati dell’ISPRA dimostrano, coinvolge quasi tutta l’Italia.

La prevenzione del dissesto idrogeologico

Un altro aspetto importante riguarda la prevenzione del rischio. «Bisogna affrontare il problema del dissesto idrogeologico in maniera preventiva – ha infatti ribadito Oriana Cuccu del Nucleo di Valutazione e analisi per la programmazione NUVAP del Dipartimento per le politiche di Coesione alla presidenza del Consiglio dei ministri -. Non è un problema economico ma riguarda l’approccio, il modo in cui si affronta questa problematica. Serve un approccio di gestione del territorio che accompagnino le azioni politiche».

E cosa si fa in Italia per prevenire il verificarsi di questi eventi? Innanzitutto occorre chiarire che esistono due tipi di interventi:

  • strutturali, che mirano a ridurre la pericolosità dell’evento e che riguardano attività ordinarie come la pulizia degli argini;
  • non strutturali, che consistono in quelle azioni finalizzate alla riduzione del danno attraverso l’introduzione di vincoli che impediscano o limitino l’espansione urbanistica in aree a rischio, la pianificazione di emergenza, la realizzazione di sistemi di monitoraggio e di allerta.

Di quest’ultimo ambito, in caso di dichiarazione di emergenza, si occupa la Protezione Civile nazionale. Mitiga gli effetti dell’emergenza, pianificando la risposta a un evento e allertando i territori in caso si rilevi un pericolo.

In particolare, le valutazioni idrogeologiche sono raccolte in un “Bollettino di criticità” che è messo quotidianamente a disposizione dei Centri funzionali decentrati delle Regioni e dei ministeri dell’Interno, delle Politiche agricole, di Infrastrutture e trasporti e dell’Ambiente, affinché a loro volta ne diano informazioni alle proprie strutture operative.

I dilemmi della prevenzione in Italia

Anche per quanto riguarda la prevenzione, la gestione locale e il “passaggio di testimone” continuo sembra non essere adeguato per i fenomeni collegati al dissesto idrogeologico, in cui la rapidità gioca un ruolo fondamentale. Inoltre non bisogna dimenticare il problema dell’elaborazione di analisi efficaci.

«La mancanza di dati e di elaborazione dei dati di base è uno dei problemi della prevenzione, cui si aggiungono la mancanza di risorse sia per studi sia per interventi di messa in sicurezza – chiarisce il ricercatore Falconi -. Poi c’è il disinteresse all’adozione di queste informazioni. Laddove un territorio viene indicato come soggetto a episodi franosi, la fruibilità della zona viene a essere condizionata. E il fatto che possa condizionare negativamente lo sviluppo edilizio costituisce un problema per un settore economico del Paese. Quindi, il fatto che il settore edile possa essere vincolato, perché un’area è stata indicata come propensa a fenomeni franosi, costituisce un problema. Per cui da una parte non si ha interesse ad avere questa informazione, dall’altra si cerca di evitare di avere queste informazioni».

Le misure del PNRR nella gestione del rischio idrogeologico

Alla gestione del rischio da alluvione e alla riduzione di quello idrogeologico il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha destinato ben 2,49 miliardi di euro. Così, già nel 2022, è stata messa in atto una riforma per la “Semplificazione e accelerazione delle procedure per l’attuazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico”. Sono poi in programma per il secondo semestre del 2023 altre misure. Lo scopo sarà quello di ridurre, entro il 2026, di almeno un milione e mezzo il numero di persone esposte a rischi di alluvione.

A questi interventi specifici si aggiungono poi altre iniziative che in un modo o nell’altro influiscono sul rischio idrogeologico del nostro Paese. Per esempio sono molti i finanziamenti destinati all’accelerazione della transizione energetica e alla riduzione delle emissioni climalteranti e degli impatti del cambiamento climatico. Tuttavia occorre fare attenzione.

«La costruzione di nuove infrastrutture finanziate dal PNRR in un territorio così fragile e vulnerabile – spiega Alessandro Bratti, ex direttore generale dell’ISPRA e attuale segretario generale dell’Autorità distrettuale del Fiume Po-MiTE –, significa che la fase progettuale va curata con grandissima attenzione».

Il problema dell’abusivismo edilizio

Infatti l’abusivismo e l’urbanizzazione indiscriminata è ciò che oggi ha portato sempre più persone a essere a rischio di episodi di alluvioni e frane. È ancora una volta l’azione dell’uomo a mettere sempre più in pericolo la collettività.

In passato si è continuato a distogliere lo sguardo dal problema, per esempio emanando leggi speciali (L. 47/1985, L. 724/1994 e L. 326/2003) che hanno legittimato un patrimonio edilizio estraneo alle norme di sicurezza strutturali. Lo stesso decreto 109/2018 ha stabilito una sanatoria per gli abusi proprio nell’isola di Ischia, oltre che nelle regioni del centro Italia colpite dal terremoto del 2016. Questo è un precedente pericoloso che coinvolge le zone più a rischio di disastri naturali.

«Su una realtà complessa e caratterizzata da una fitta rete idrografica, l’aver costruito densamente in aree poco idonee da un punto di vista geo-idrologico ha inevitabilmente aumentato i rischi per la popolazione – ha dichiarato il ricercatore senior del CNR-IRPI Fabio Luino -. Gli abitanti dei centri urbani non sono a conoscenza dei processi geo-idrologici esistenti nel loro territorio, e andrebbero preparati affinché siano consapevoli dei rischi con i quali convivono. Per questo sarebbe necessaria un’esercitazione pubblica coordinata dalla Protezione Civile, esattamente come avviene per i terremoti».

I consigli su cosa fare in caso di emergenza

A disposizione del cittadino la Protezione civile ha però preparato alcuni consigli su come comportarsi in caso di emergenza. Per esempio, in caso di alluvione, avverte di come l’acqua possa salire improvvisamente e che in casa le aree più pericolose sono le cantine, i piani seminterrati e i piani terra. Invece, al di fuori delle abitazioni, le zone più a rischio sono i sottopassi, i tratti vicini agli argini e ai ponti, e le strade con forte pendenza.

È importante non bere l’acqua proveniente dal rubinetto perché potrebbe essere contaminata. Occorre poi evitare di utilizzare l’automobile perché, persino pochi centimetri d’acqua, potrebbero far perdere il controllo del veicolo o causarne lo spegnimento. Inoltre il fondo stradale potrebbe essersi indebolito e cedere, nonostante l’acqua si sia ritirata.

Anche in caso di frane la Protezione Civile mette a disposizione alcuni avvertimenti. Per esempio spesso le frane si muovono in modo repentino. Perciò occorre evitare di transitare in aree già sottoposte a movimenti del terreno, in particolar modo durante temporali o piogge violente.

Bisogna poi allontanarsi dai corsi d’acqua o dai solchi di torrenti nei quali vi può essere la possibilità di scorrimento di colate rapide di fango. Non bisogna avvicinarsi al ciglio di una frana perché è instabile.

La Protezione Civile sta infine lavorando a un sistema di gestione delle allerte su livello nazionale, con un’applicazione che fornirà aggiornamenti in tempo reale al cittadino.

Numero verde ONA

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