IL DIMORFISMO SESSUALE HA SEMPRE AFFASCINATO GLI SCIENZIATI E GLI APPASSIONATI DI NATURA. SI TRATTA DI QUELLA CARATTERISTICA CHE PORTA I MASCHI E LE FEMMINE DELLA STESSA SPECIE A PRESENTARE DIFFERENZE MORFOLOGICHE EVIDENTI, COME COLORAZIONI DIVERSE, DIMENSIONI DEL CORPO DISSIMILI O STRUTTURE ANATOMICHE PARTICOLARI.
Il dimorfismo sessuale: roba superata?
Il naturalista britannico Charles Darwin (1809-1882), padre della “teoria dell’evoluzione della specie” (1859), sosteneva che il dimorfismo sessuale (dal greco “due forme”), cioè la differenza morfologica fra individui appartenenti alla medesima specie ma di sesso differente, sarebbe riconducibile alla selezione della specie. Quanto ai meccanismi, entrerebbero in gioco la selezione intrasessuale e quella intersessuale.
La prima, è quella che porta gli individui di un sesso a sviluppare adattamenti utili per avere la meglio sui rivali dello stesso sesso, quando competono per la conquista del partner. È il caso delle corna o delle zanne.
Di contro, la selezione intersessuale porta un animale a sviluppare ornamenti decorativi – come la coda del pavone – per “rimorchiare” più facilmente, sfruttando i canoni estetici.
Una situazione più complessa
Più di recente, gli scienziati hanno chiarito come la situazione sia in realtà più complessa di come l’aveva descritta Darwin, e possa non dipendere dalla sola selezione sessuale. Alcuni casi di dimorfismo sessuale sembrano essere meglio spiegati dalla selezione naturale, ed essersi quindi evoluti per cause ecologiche.
Ad esempio, i maschi e le femmine di alcune specie di uccelli, come i fringuelli delle Galapagos (genere Geospiza). Gli uccelli, descritti per la prima volta da Charles Darwin durante il suo viaggio sul brigantino HMS Beagle nel 1835, hanno il becco di forma diversa. Come mai? Probabilmente si tratterebbe di una conseguenza del loro diverso utilizzo delle risorse alimentari.
Inoltre, alcune specie mostrano discrepanze significative tra i sessi. Basti pensare ai maschi di elefante marino del nord (M. angustirostris), che sono più piccoli di quelli di elefante marino del sud (M. leonina), ma hanno in proporzione una proboscide più grande.
Infine, un altro studio parla di “pregiudizio storico da parte della letteratura scientifica”. Come mai?
Darwin ha toppato?
Uno studio condotto da tre ecologisti dell’Università di Princeton (New Jersey), Guidati da Kaia Tomback, scardina le teorie di Darwin e parla di “pregiudizio storico”. Cerchiamo di capire il perché di questa “etichetta”, a partire dai risultati della ricerca.
La meta-analisi, che attinge dati provenienti da oltre quattrocento specie di mammiferi, svela indagini sorprendenti.
Quasi il 39% delle specie di mammiferi mostra maschi e femmine con masse corporee medie simili, ribaltando l’idea comunemente accettata del dimorfismo sessuale proposto da Darwin. Il il 45% presenta maschi più grandi, mentre solo il 16% ha femmine di dimensioni superiori.
Inoltre, quando il team ha esaminato la lunghezza del corpo anziché la massa corporea, è emerso quanto segue.
Circa la metà delle specie analizzate mostrava monomorfismo sessuale, cioè nessuna differenza fra sessi differenti della stessa specie.
«Nonostante alcune prove contrarie, la narrativa secondo cui i maschi più grandi sono la norma nei mammiferi (mantenuta sin da “L’origine dell’uomo”, di Charles Darwin) domina ancora oggi, supportata da meta-analisi che utilizzano misure approssimative di dimorfismo e campionamento tassonomicamente distorto». A spiegarlo, gli autori dello studio.
La scoperta solleva pertanto numerosi interrogativi sulla nostra comprensione storica del dimorfismo sessuale, dal momento che i mammiferi al vaglio dell’analisi rientrano fra le specie più studiate dalla scienza. Ma perché si può parlare di pregiudizio?
Pregiudizi storici
Gli autori del recente studio suggeriscono che la narrazione predominante del “maschio più grande” potrebbe essere influenzata da pregiudizi presenti nella ricerca scientifica. Quali? Ad esempio la preferenza per la ricerca sulle specie carismatiche, come i primati e le foche, in cui le dimensioni corporee più grandi dei maschi sono evidenti e sottolineate. Inoltre, potrebbe esserci una tendenza a enfatizzare la ricerca sulla competizione maschile per i compagni, spesso osservata in queste specie.
Tuttavia, i ricercatori fanno notare che le specie di roditori e pipistrelli costituiscono una percentuale significativa delle specie di mammiferi. In queste specie, le differenze di dimensione corporea tra i sessi sono meno comuni, con circa la metà dei pipistrelli che presenta femmine più grandi dei maschi.
Questa constatazione suggerisce la necessità di una revisione delle prospettive e delle priorità nella ricerca scientifica.
Necessita di ulteriori studi sul dimorfismo
I ricercatori di Princeton avvertono che le loro scoperte non rappresentano l’ultima parola sul dimorfismo delle dimensioni sessuali nei mammiferi, poiché il loro studio ha analizzato solo una piccola percentuale delle specie di mammiferi, a causa della mancanza di dati completi e accurati.
Pertanto, raccomandano vivamente la conduzione di ulteriori ricerche sulla biologia delle femmine in tutte le specie, al fine di ottenere una comprensione più completa e inclusiva della diversità biologica presente nel regno animale.
Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications.