domenica, Dicembre 8, 2024

Diabete: passi avanti nella ricerca

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LA SOCIETÀ EUROPEA DI CARDIOLOGIA (ESC) HA PUBBLICATO, NEI GIORNI SCORSI, LE NUOVE LINEE GUIDA PER LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI NELLE PERSONE CON DIABETE. OBIETTIVO, SUPPORTARE GLI OPERATORI SANITARI NEL PROPORRE IL MIGLIOR APPROCCIO DIAGNOSTICO O TERAPEUTICO.

DALLO STUDIO SUGLI ORSI IN LETARGO, I RICERCATORI HANNO INDIVIDUATO OTTO PROTEINE CHIAVE – PRESENTI ANCHE NELL’UOMO – CHE AIUTANO I GRIZZLY A NON AMMALARSI DI DIABETE

Diabete: nuove linee guida per patologie cardiovascolari e nuovi trattamenti studiando i grizzly

Sul diabete, gli scienziati hanno fatto passi avanti nella ricerca. Durante il congresso della Società europea di cardiologia (Esc), che si è tenuto di recente ad Amsterdam, gli studiosi hanno presentato le nuove linee guida per le malattie cardiovascolari nelle persone con diabete.

Dall’altro versante dell’Atlantico, i ricercatori della Washington State University (USA) hanno scoperto indizi genetici su come gli orsi grigi, i grizzly, riescono a regolare la produzione di insulina.

Le persone affette da diabete presentano un rischio da 2 a 4 volte maggiore di sviluppare patologie cardiovascolari. E tra il 25% e il 40% dei pazienti con malattie cardiovascolari ha un diabete non diagnosticato.

Le indicazioni contenute nelle nuove linee guida per le malattie cardiovascolari nelle persone con diabete, coprono diversi aspetti, dalla valutazione del rischio cardiovascolare alla diagnosi e al trattamento. Si basano sulle evidenze scientifiche disponibili al momento della loro redazione, con l’intento di assistere gli operatori sanitari nella scelta dell’approccio diagnostico e terapeutico più appropriato.

I soggetti con diabete di tipo 2 corrono un rischio da 2 a 4 volte maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari

«I pazienti con diabete di tipo 2 corrono un rischio da 2 a 4 volte maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari con le sue manifestazioni di malattia coronarica, insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale e ictus, nonché malattie delle arterie aortiche e periferiche. Inoltre, il diabete è un importante fattore di rischio per lo sviluppo della malattia renale cronica che a sua volta peggiora la funzione cardiaca», spiega Massimo Federici, che ha coordinato la task force per la creazione delle linee guida, insieme con Nikolaus Marx.

«In tutti i casi poi, la prognosi è peggiore. Ad esempio, la morte per malattie cardiovascolari – aggiunge – è del 50-90% più alta nei soggetti con insufficienza cardiaca associata al diabete, rispetto a quelli con la sola insufficienza cardiaca». (fonte Sanità Informazione)

Gli esperti dell’Esc hanno sviluppato un algoritmo denominato, SCORE2-Diabetes, disponibile in un’applicazione, che valuta il rischio cardiovascolare in persone con diabete di tipo 2. Questo algoritmo tiene conto di vari elementi, tra cui la storia medica e familiare, l’età al momento della diagnosi, i sintomi, i risultati degli esami, i test di laboratorio e altri parametri diagnostici. Nonché lo stile di vita, come il fumo e l’attività fisica.

Al fine di prevedere il rischio di eventi cardiovascolari fatali e non fatali nel corso di dieci anni, le nuove linee guida raccomandano l’utilizzo del modello SCORE2-Diabetes per stimare il rischio in pazienti con diabete di età compresa tra i 40 e i 69 anni, che non hanno ancora sviluppato malattie cardiovascolari o renali.

Attenzione alla gestione dell’insufficienza cardiaca

«Le nuove raccomandazioni prevedono l’uso degli inibitori SGLT2 e/o gli antagonisti del recettore GLP-1 per ridurre significativamente il rischio di infarto e ictus in tutti i pazienti con diabete e malattia cardiovascolare», spiega il professor Federici.

«Un obiettivo speciale è poi la gestione dell’insufficienza cardiaca: i pazienti con diabete, infatti, presentano un rischio da due a quattro volte superiore rispetto a quelli senza diabete: la terapia con inibitori di SGLT2 ha ridotto le probabilità di ricovero e morte», sottolinea il ricercatore.

Le nuove linee guida raccomandano screening mirati

Avere sia il diabete sia malattie cardiovascolari, soprattutto in giovane età, influisce notevolmente sulle prospettive di salute. Pertanto, le nuove linee guida raccomandano lo screening dei pazienti con malattie cardiovascolari per il diabete e la valutazione del rischio cardiovascolare negli individui con diabete, valutando anche le patologie cardiovascolari e renali.

Il diabete ha un impatto diretto sul rene, con un elevato rischio di insufficienza renale. Di conseguenza, le linee guida raccomandano uno screening annuale che comprenda la misurazione della velocità di filtrazione glomerulare e dei livelli di albumina nelle urine per i pazienti con diabete. Inoltre, i pazienti affetti da diabete e malattia renale cronica dovrebbero ricevere terapia con inibitori SGLT2 e/o finerenone, in aggiunta alle cure standard, per ridurre i rischi.

Ancora, il diabete di tipo 2 comporta un aumento del 3% del rischio di sviluppare una fibrillazione atriale, che è correlata a ictus e morte prematura. Pertanto, per la prima volta, le linee guida raccomandano uno screening specifico e misurazioni regolari con ECG o pulsiossimetria per i pazienti di età superiore ai 65 anni e per quelli più giovani con ipertensione.

Cambiare lo stile di vita fondamentale per prevenire e gestire il diabete

I cambiamenti dello stile di vita sono considerati una misura fondamentale per prevenire e gestire il diabete. Questi cambiamenti dovrebbero essere attuati attraverso un approccio multifattoriale, con una comunicazione orientata al paziente adattata al suo stato di salute e alla sua alfabetizzazione sanitaria.

Nel caso del diabete di tipo 2, l’adozione di uno stile di vita più sano, che includa consulenza nutrizionale, modifiche qualitative e quantitative dell’alimentazione e attività fisica, ha dimostrato di determinare una perdita di peso media dell’8,6%, con una significativa riduzione dei livelli di HbA1c e della pressione arteriosa.

La riduzione del peso è un obiettivo centrale del trattamento. Pertanto, le linee guida raccomandano l’esercizio fisico quotidiano e una dieta mediterranea ricca di fibre e acidi grassi insaturi.

Perché mangiare troppo non porta gli orsi grizzly a sviluppare il diabete?

Se gli esseri umani consumassero migliaia di calorie al giorno, aumentassero di peso in modo esorbitante e rimanessero quasi completamente immobili per mesi, le conseguenze per la loro salute sarebbero disastrose. Per lungo tempo, gli scienziati si sono interrogati su come mai questo comportamento non porti gli orsi grizzly a sviluppare il diabete.

Per l’esperimento gli scienziati della Washington State University hanno alimentato con acqua e miele gli orsi durante il loro periodo di letargo. Così facendo,i ricercatori hanno scoperto indizi genetici su come i plantigradi riescono a regolare la produzione di insulina. I risultati di questa ricerca, pubblicati sulla rivista iScience, potrebbero fornire importanti informazioni per migliorare i trattamenti contro il diabete nelle persone.

Il diabete di tipo 2, una malattia che può provocare attacchi di cuore, ictus e cecità

L’ormone dell’insulina è presente nella maggior parte dei mammiferi. Serve a regolare i livelli di glucosio nel sangue, ad esempio dicendo a fegato, muscoli e alle cellule adipose di assorbire il glucosio, che è una fonte di energia.

Ma se la quantità di zuccheri che entra in circolo è elevata, col tempo le cellule smettono di reagire e diventano resistenti all’insulina. Questa è una delle principali cause del diabete di tipo 2, una malattia che può provocare attacchi di cuore, ictus e cecità. Circa 1 americano su 10, ossia più o meno 37 milioni di persone, sono affette da diabete di tipo 2.

I grizzly sono in grado di regolare la loro produzione di insulina

A differenza degli esseri umani, gli orsi sembrano essere in grado di mantenere sotto controllo la loro resistenza all’insulina, attivando o disattivando la produzione di questo ormone a seconda delle necessità.

Per comprendere meglio questo meccanismo, i ricercatori hanno prelevato campioni di siero sanguigno da sei orsi grizzly tenuti in cattività al WSU Bear Center, un centro di ricerca situato a Pullman, nello Stato di Washington. Hanno anche raccolto campioni di tessuto adiposo dagli orsi, che sono stati utilizzati per coltivare cellule in laboratorio.

«Questo ci permette di fare test che altrimenti non potremmo eseguire sugli orsi adulti», afferma il coautore dello studio, Blair Perry, ricercatore post-dottorato alla Washington State University

L’esperimento ha rivelato che i grizzly sono in grado di regolare la loro produzione di insulina grazie a otto proteine chiave che sembrano svolgere un ruolo cruciale nella biologia di questi animali. Queste proteine agiscono sia individualmente sia insieme per regolare i livelli di insulina durante il periodo di letargo.

Poiché la maggior parte dei geni umani è simile a quelli degli orsi, capire il ruolo di queste otto proteine potrebbe essere estremamente utile per gli scienziati nello studio della resistenza all’insulina nell’uomo, asserisce Perry.

Le fasi dell’esperimento

Gli orsi grizzly attraversano tre fasi nel corso dell’anno: attività, iperfagia e letargo. Durante la fase di iperfagia, che precede il letargo invernale, gli orsi consumano fino a 20mila calorie al giorno e accumulano grasso in preparazione all’inverno. Durante il letargo, il loro metabolismo rallenta, la frequenza cardiaca si riduce e diventano resistenti all’insulina. Quindi, utilizzano i loro depositi di grasso come fonte di energia.

Durante il letargo, i plantigradi hanno periodi di veglia, durante i quali si muovono ma non mangiano. Quando i grizzly utilizzati per la ricerca si sono svegliati, i ricercatori li hanno alimentati con acqua e miele (uno dei loro cibi preferiti) per due settimane, prima di essere sottoposti a prelievo del sangue. Nella primavera e nell’estate precedente, il team aveva già effettuato prelievi di campioni di sangue sugli stessi individui.

Quindi, in laboratorio, i ricercatori hanno combinato vari sieri di sangue con colture cellulari di diverso tipo: ad esempio una coltura cellulare di tessuto grasso prelevato da un orso in letargo è stata miscelata con il siero di sangue prelevato da un orso attivo. Questo ha permesso agli scienziati di rilevare quali cambiamenti genetici si verificano all’interno delle cellule.

Di tutte le combinazioni studiate, quella con il siero prelevato dagli orsi in letargo alimentati con il miele è la combinazione che ha contribuito con maggiori probabilità a individuare le otto proteine che svolgono un ruolo indispensabile nel meccanismo di sensibilità e resistenza all’insulina.

Un passo importante

Mike Sawaya, biologo esperto di orsi all’istituto di ricerca Sinopah Wildlife Research Associates che non ha preso parte alla ricerca, afferma che il principale risultato di questo “affascinante studio” è stato rilevare i tanti collegamenti che possono esserci tra il letargo degli orsi e la salute umana. «L’identificazione di queste otto proteine è stato un passo importante», dichiara.

Così come “individuare i meccanismi che vengono attivati e disattivati” quando gli orsi cambiano la propria resistenza all’insulina, approva Sawaya. (fonte National Geographic)

Questo studio apre la strada per ulteriori ricerche che potrebbero consentire agli scienziati di comprendere meglio la resistenza all’insulina nell’uomo ed, eventualmente, sviluppare nuovi trattamenti per il diabete.

Comprendere come manipolare queste otto proteine nei pazienti umani potrebbe essere la chiave per invertire la resistenza all’insulina, anche se c’è ancora molto lavoro da fare prima che questo diventi una realtà.

Tuttavia, questo studio rappresenta un importante passo avanti nella comprensione di come gli orsi grizzly gestiscano la loro sensibilità all’insulina e potrebbe avere implicazioni significative per la prevenzione e il trattamento del diabete nelle persone.

Numero verde ONA

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