giovedì, Aprile 18, 2024

Determinanti ambientali di salute

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L’ambiente malato che ci circonda svolge un ruolo di primo piano nell’insorgenza di diverse patologie, alcune completamente sconosciute nel secolo scorso, segno evidente che gli attuali livelli di inquinamento incidono senza dubbio sulla salute dell’uomo.

Quando le malattie sono causate dall’inquinamento

Già da decenni si è creato un micidiale circolo vizioso: l’uomo devasta sempre di più interi territori, avvelena aria e acque e in cambio riceve gli effetti nocivi della sua incuria e distruzione, tra cui allergie, malattie gravi, spesso incurabili, alterazioni epigenetiche che vengono trasmesse ai figli. Dal punto di vista sanitario si punta di solito l’attenzione sui problemi che riguardano la cura delle malattie e la diagnosi precoce, sugli screening, che erroneamente ricadono nel campo della prevenzione, mentre in realtà sono esami volti a fare una diagnosi precoce, cioè individuare una malattia non appena essa insorge per dare maggiore possibilità di riuscita alla terapia. Sarebbe necessario, tuttavia, soffermarsi maggiormente su un altro aspetto, precedente a quanto appena ricordato, e cioè sulla possibilità di mantenere un buono stato di salute.

Sarà Ferdinando Laghi, direttore UOC di Medicina Interna all’Ospedale di Castrovillari (CS) e vice presidente nazionale Associazione Medici per l’Ambiente ISDE-Italia, a spiegarci cosa fare per restare in buone condizioni di salute, quali sono le correlazione tra ambiente e salute e in che modo gli stili di vita, le diseguaglianze sociali, i cambiamenti climatici condizionano la vita dell’uomo.

Ferdinando Laghi, Associazione Medici per l’Ambiente ISDE-Italia

«Un buono stato di salute – sostiene Laghi – è determinato da diversi fattori, tra i quali il patrimonio genetico, l’ambiente in cui si vive, i servizi sanitari, abitualmente definiti determinanti della salute”. Precisiamo che i servizi sanitari incidono sulla salute dell’uomo per una percentuale compresa tra il 10 e il 15%, il rimanente 85/90% dipende da diversi determinanti, alcuni individuali».

Questi determinanti comprendono anche il patrimonio genetico?

«È ormai risaputo che un particolare assetto genetico può aumentare il rischio di contrarre malattie, ma ci sono altri fattori che risultano addirittura inaspettati nel novero dei determinanti di salute, come ad esempio il livello socio-economico, che influiscono sulla salute delle persone. Il povero, infatti, corre rischi maggiori per la salute rispetto a chi può contare su un reddito medio-alto, perché troppo spesso non ha la possibilità economica di sottoporsi a cure preventive e non. Da prendere in considerazione è anche lo stile di vita, quindi il modo di alimentarsi, l’attività fisica che si compie, se si fuma, se si abusa di alcol o di farmaci, se si fa uso di sostanze stupefacenti e la possibilità di accedere ai servizi, non soltanto sanitari. Certamente rilevanti sono i “determinanti ambientali di salute”, in grado di influenzare lo stato di salute non soltanto delle attuali generazioni, ma anche di quelle future. In altre parole, l’esposizione a un ambiente inquinato può determinare delle alterazioni epigenetiche nei genitori, che trasmettono, dunque, ai figli un patrimonio genetico alterato. Il nascituro sarà, pertanto, portatore di alterazioni epigenetiche trasmesse dai genitori. Si badi bene, non stiamo parlando di problemi neonatali, come il basso peso alla nascita o malformazioni varie, ma di una riprogrammazione dei tessuti che espongono al rischio di contrarre malattie cronico-degenerative, come Alzheimer, diabete, ipertensione arteriosa. Ciò spiega l’esplosione di queste patologie nell’ultimo secolo, che hanno preso il posto delle malattie infettive acute, le quali, invece, sono andate man mano decrescendo, lasciando il posto, appunto, alle malattie cronico-degenerative che hanno nell’ambiente un determinante estremamente importante».

Malgrado questo, la pressione sull’ambiente da parte dell’uomo continua ad aumentare

«Sì, sono stati condotti studi specifici sullimpronta ecologica (vedi Global Footprint Network – ndr), cioè la pressione antropica, e sulla capacità che il pianeta Terra ha di rinnovare le proprie risorse. Sappiamo bene che, ogni anno, il tempo in cui le risorse rinnovabili vengono consumate si abbrevia sempre più. L’anno scorso abbiamo consumato le risorse rinnovabili il 1° agosto. Teniamo conto che 40 anni fa arrivavamo al 29-30 dicembre, quindi ogni anno che passa noi “mangiamo” un po’ di capitale del nostro pianeta e viviamo attualmente come se la nostra Terra fosse più grande di una volta e mezzo circa. Tra l’altro, noi continuiamo a parlare della salute della Terra come se i nostri sforzi dovessero essere orientati solo alla sopravvivenza del pianeta, forse ciò è una fuga da una paura collettiva, perché in realtà la Terra, che ha 5 miliardi di anni circa, durerà comunque altri 5 miliardi di anni, o 7 secondo altri, e quando il sole diventerà una gigante rossa brucerà la Terra come un cerino. Noi stiamo, invece, parlando della sopravvivenza della razza umana sul pianeta, perché stiamo realizzando delle condizioni ambientali che renderanno il nostro passaggio sulla Terra molto, ma molto più breve dell’era dei dinosauri, ad esempio, che sono durati qualche decina di milioni di anni e poi sono scomparsi senza che il pianeta ne abbia granché sofferto».

Catastrofismi?

«No, questo è anche l’allarme che le maggiori agenzie e organizzazioni internazionali danno da diverso tempo. L’ICPC, International Panel on Climate Changing, che è l’organismo più autorevole dell’ONU a livello mondiale sui cambiamenti climatici, ha addirittura ritenuto di dover fare uno special report, a ottobre dell’anno scorso, sulla necessità di mantenere l’aumento della temperatura globale, entro questo secolo, al di sotto di un grado e mezzo rapportato all’era preindustriale, altrimenti tutti i cambiamenti climatici e tutti i disastri collegati che noi stiamo vivendo anche nel nostro paese saranno ancora più cataclismatici e destinati ad aumentare. Questo per quanto riguarda strettamente il clima. Per il rapporto condizione ambientale/salute, ricordo che l’Organizzazione Mondiale Sanità ha organizzato una conferenza a Ginevra sull’inquinamento atmosferico e sulla salute, dalla quale è emerso che oltre il 90% delle persone al mondo respira un’aria che non ha i connotati raccomandati dall’OMS. Ciò comporta una premorienza di 7 milioni di persone l’anno solo per l’inquinamento atmosferico e colpisce soprattutto gli strati della popolazioni più disagiati del pianeta. Quindi, le diseguaglianze sociali diventano diseguaglianze di salute a livello globale e dimostrano che davvero le condizioni ambientali si connettono con le condizioni di salute, che a loro volta hanno nelle discriminanti sociali un vero e proprio problema di democrazia, di accesso ai diritti, assieme all’accesso all’acqua e così via. Nel marzo scorso, si è svolta un’assemblea dell’ONU a Nairobi, dove si è parlato ancora una volta di sfide ambientali, povertà, produzione del cibo, sicurezza alimentare, produzione energetica, pesticidi, gestione dei rifiuti, cioè di tutte quante le problematiche ambientali globali collegate alla salute. Assistiamo già a migrazioni di massa, alle guerre per l’acqua, a spostamenti di intere popolazioni anche a causa dei cambiamenti climatici».

Che fare, allora? Quali sono i punti su cui intervenire?

«Innanzitutto, le stime generali ci dicono che nel 2050 l’80% della popolazione mondiale sarà inurbata, vivrà nelle città e quindi urge una pianificazione urbanistica, avere, cioè, città sempre più a misura d’uomo che privilegino la salute di chi ci vive e non i guadagni di chi le costruisce. Un problema nodale di salute diventa poi la produzione energetica, la quale ha un grosso impatto sui cambiamenti climatici e pretende delle soluzioni globali che mettano da parte il processo della combustione dei combustibili fossili e delle false energie rinnovabili, come le biomasse, e che invece diano impulso alle vere energie rinnovabili, come per esempio quella solare, quella eolica, quella delle maree e così via. Ma, parlando sempre di sfruttamento del pianeta e di impatto atmosferico, non si deve sottovalutare il problema del cibo, o meglio delle sue modalità di produzione. Pensiamo ai pesticidi, all’agricoltura intensiva, alla perdita della biodiversità agroalimentare, ma anche a un consumo del cibo responsabile, cioè a basso impatto ambientale. L’uso smodato di carne e derivati animali ha un impatto micidiale sulle risorse del pianeta. Infine, si deve considerare la crescita demografica, che non può non rappresentare un problema, vista la progressione e l’impatto della popolazione globale sulle risorse, di cui pure bisognerà tener conto e non si deve tralasciare di parlare delle pressioni delle lobby internazionali che spingono verso una falsa iperproduzione, denigrando i metodi dell’agricoltura tradizionale in maniera infondata. Si dimentica, purtroppo, che già oggi al mondo si produce una quantità di cibo che può bastare per ben più della popolazione globale. Attualmente sul pianeta ci sono circa 7 miliardi e mezzo di persone e si produce cibo che basterebbe a sfamare 10 miliardi di persone, però quasi un miliardo di persone soffre la fame, tra cui 3 milioni di bambini, alcuni muoiono di fame ogni anno, mentre un bambino su dieci è in sovrappeso, si alimenta troppo e mette a rischio la propria salute per un introito calorico eccessivo. E noi permettiamo, in questa situazione, di utilizzare, per esempio, un terzo dei cereali coltivati al mondo per il consumo animale o per la produzione di biocarburanti. In Italia lo spreco alimentare si aggira su una spesa di circa 15 miliardi di euro l’anno, praticamente è una manovra finanziaria, questo non è etico, rappresenta l’iniquità del mondo in cui viviamo».

Il problema a questo punto sembra diventare politico, vero?

«Dopo aver individuato i fattori critici, appare del tutto evidente che non ci sono sufficienti collegamenti e integrazioni tra quello che dice e chiede la comunità scientifica internazionale e i decisori politici, i quali continuano a farsi influenzare da interessi distanti da ciò che serve per la salute e per l’ambiente. Inoltre, la società civile ha difficoltà a farsi ascoltare e per certi versi è paradossale che sia una ragazzina di 16 anni, mi riferisco a Greta Thunberg, a farsi portavoce delle richieste di tutta una generazione, la nuova, a livello planetario. Meno male che c’è, ma ciò fa emergere il disinteresse dei decisori politici e un livello di conflittualità che non dovrebbe esistere se ci fosse una corretta circolazione e un travaso delle acquisizioni scientifiche nel mondo della politica. Come ISDE Italia e ISDE internazionale cerchiamo di svolgere un ruolo di cerniera, di collegamento tra il mondo scientifico – perché siamo portatori di risultanze scientifiche accettate e accertate – e le Istituzioni, proprio per favorire questo travaso. La comunicazione tra società scientifica e società civile potrebbe essere il punto di partenza per giungere a una prevenzione primaria, cioè all’eliminazione, quanto più possibile efficace, dei fattori patogeni ambientali, cioè dei determinanti ambientali di salute negativi, al fine di evitare che la gente si ammali».

Numero verde ONA

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