lunedì, Settembre 9, 2024

Allarme Covid-19: reazioni emotive e risposte fisiologiche

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 La paura della pandemia da Coronavirus nei soggetti “normali” e in quelli affetti da patologie psichiatriche

Parola al Prof. Andrea De Bartolomeis della Federico II di Napoli

Intervista al Prof. Andrea De Bartolomeis, direttore del reparto psichiatria dell’Ospedale Federico II Napoli. Il questo particolare periodo, con l’avvento del COVID-19, in alcuni soggetti, la paura e la fragilità, possono portare a condizioni psicologiche intense come l’ansia, spesso sottovalutata, e attacchi di panico.

Le morti e i contagiati aumentano ogni giorno e, con essi, la sofferenza di chi ha lasciato andare i propri cari o che sono stati in prima persona accolti negli ospedali per sottoporsi a cure mediche.
Inoltre, le regole per il contenimento del virus, stanno mettendo a dura prova le persone che sono costrette a privarsi anche della compagnia di amici e familiari.

L’ansia da COVID-19 aumenta il disagio in corsia

La situazione è più intensa per quelli che sono affetti da disturbi psichiatrici. Questi, hanno bisogno di cure costanti e di evitare situazioni di allarme.
Nei reparti il problema è molto serio, sia per i medici e gli operatori sanitari sia per i pazienti. I casi più gravi possono avere reazioni  intense a causa delle restrizioni adottate dal governo, perché la loro sensibilità è “diversa”.

Da non dimenticare anche quelle persone che soffrono di disturbi psichici e che, per paura o vergogna, non si sono mai rivolti a specialisti e potrebbero vivere questo momento in maniera molto drammatica.

Psicologi e psichiatri continuano a lavorare e ad effettuare terapie a distanza, con l’uso di nuove tecnologie. 

Negli ultimi giorni si sono verificati episodi come quello di una donna che ha partorito in casa, a Napoli, per paura di contrarre il virus in ospedale. Un’altra è stata  uccisa dal marito dopo una banale lite, alimentata dalla convivenza forzata 24 ore su 24.
Questo ci permette di riflettere e di capire che è normale aver bisogno di aiuto ed è importante chiederlo, prima che si verifichino episodi estremi come il suicidio o l’inizio di disturbi che potrebbero, con il passare del tempo, amplificarsi.

Dell’argomento ne abbiamo parlato con il prof. Andrea De Bartolomeis, neurobiologo, direttore della clinica psichiatrica dell’Università Federico II di Napoli.

D: Prof. De Bartolomeis, quali sono gli effetti del COVID-19 sulla salute mentale della popolazione non affetta da disturbi psichiatrici?

Prof Andrea De Bartolomeis
Prof. Andrea De Bartolomeis – neurobiologo, professore di psichiatria all’Università Federico II di Napoli e direttore del reparto psichiatria dell’Ospedale

R: «Credo che si possano individuare tre possibili scenari: il primo è quello di una reazione emotiva e di risposta fisiologica rispetto a una condizione di aumentato allarme generale, quindi, quello che normalmente accade o potrebbe accadere in contesti eccezionali. Questa deve essere considerata come una reazione emotiva fisiologica e, in qualche modo, anche protettiva delle persone (se sono in allarme questo mi consente di essere attento a quello che accade intorno).

C’è, poi, una reazione di adattamento e questo è un secondo scenario che di per sé risulta anch’esso come una reazione di protezione. A volte l’adattamento può essere difficile. Molte persone possono vivere questa fase di isolamento con difficoltà ma, in qualche modo, mettono in atto meccanismi funzionali di risposta a quello che sta accadendo.

Poi, ci possono essere degli episodi, probabilmente non frequenti, ma è necessario tenerne conto, di tipo acuto o subcronico, con reazioni significative per intensità di carattere emotivo con componenti comportamentali francamente disfunzionali che possono avere franchi aspetti di patologia. Proprio perché non si riesce a fare il coping con quello che sta accadendo e le modalità di risposta che si mettono in atto non sono sempre congrue con la situazione».

Chi opera nell’ambito della salute mentale, oltre a sostenere queste situazioni e dare un supporto psicologico o psichiatrico, deve assolutamente far propria la convinzione che, qualunque di queste condizioni, non può giustificare quelli che sono i processi di sicurezza

«Questo è fondamentale perché, altrimenti, si potrebbe correre il rischio che modalità comportamentali abnormi o insolite, possano, in qualche modo, giustificare comportamenti insoliti.  In questo momento tutti, anche gli operatori della salute mentale, devono avere chiara l’idea che qualsiasi situazione deve essere considerata rispettando il principio di far prevalere le norme della sicurezza per evitare contagi. Non dobbiamo abbassare la guardia, l’aspetto primario cui tutti dobbiamo assolutamente tendere è quello della sicurezza e della protezione anche e, soprattutto, in presenza di disagio psichico».

Conseguenze nei soggetti con disagio psichiatrico

Professore, quali sono le conseguenze nei soggetti con disagio psichiatrico associate all’epidemia da Covid-19?

«Questo è un aspetto centrale nella gestione di complicanze di patologie psichiatriche in situazioni di allarme e di grave difficoltà di tutta la popolazione.
Non dobbiamo dimenticarci che esistono patologie psichiatriche severe ad esempio  i disturbi psicotici cronici  come la schizofrenia, i disturbi affettivi gravi come il disturbo bipolare, la depressione maggiore ricorrente, che rappresentano condizioni di estrema fragilità. Qui bisogna considerare due aspetti diversi ma assolutamente sovrapposti, delle conseguenze strettamente connesse alla situazione attuale in persone con patologie psichiatriche gravi. 

Il primo è la potenziale accentuazione di quadri clinici già di per sé severi. Si pensi, ad esempio, che questi pazienti, spesso, hanno difficoltà a seguire con regolarità e continuità terapie e trattamenti, sia di carattere farmacologico sia non farmacologico.
È evidente che in una situazione di allarme generale, di grande difficoltà oggettiva, questo può essere in qualche modo accentuato da aspetti pragmatici come, per esempio, difficoltà di accedere a prescrizioni o all’acquisizione dei farmaci come si faceva precedentemente». 

La quotidianità, in questo periodo, aumenta le difficoltà nei pazienti con disturbi psichiatrici severi

«Ma c’è un aspetto, non di minore importanza, che è quello della quotidianità: molte delle difficoltà che vive la popolazione generale in questo frangente possono essere amplificate nei pazienti più fragili e fra questi, in quelli con disturbi psichiatrici severi.

Basti pensare che molti dei nostri pazienti non hanno un’autonomia funzionale completa. Molti dipendono dai familiari, che, spesso, sono anziani. In questo frangente sono anch’essi colpiti da questa difficoltà di ottemperare alle regole che dobbiamo comunque rispettare. 

Questo fa sì che la popolazione psichiatrica con disturbi mentali severi in qualche modo sia una popolazione estremamente fragile. Non dobbiamo dimenticarlo, per evitare che coloro che in alcune situazioni sono già considerati gli ultimi lo diventino ancora di più».

La comunicazione a distanza è utile ma non deve sostituirsi alle visite

«Quindi, è necessario avere una grande attenzione, stando vicino ai pazienti con quello che si può e si deve fare. Soprattutto con la comunicazione a distanza (da quella più semplice che è rappresentata dalla comunicazione telefonica, a quella un po’ più sofisticata, laddove è possibile attuarla,  via Skype, WhatsApp e quant’altro).

Questa, non può e non deve sostituirsi alle visite in condizioni di necessità, nel rispetto delle procedure di sicurezza (triage) e di non indifferibilità delle stesse. Ugualmente fondamentale poter garantire l’attività clinica di reparto come degenza o day-hospital in situazioni non differibili.

È fondamentale per noi non dimenticare che i pazienti devono essere assistiti con la stessa frequenza ma con modalità diverse rispetto a quelle precedenti.
Quindi bisogna essere anche proattivi. Per esempio noi telefoniamo ai pazienti prima ancora che arrivi la data di quella che sarebbe stata la presunta visita di controllo. Che peraltro non è possibile, in alcuni contesti, attuare, perché potrebbe esserci una riduzione o un blocco, per esempio, delle visite ambulatoriali».

E i vostri pazienti riescono a rispettare queste regole?

«Questo è sicuramente un problema che può sorgere però, ritengo, che quando ai nostri pazienti si fanno presente certe regole, in qualche modo le si riesce anche a rinforzare, ricordandole e spiegandone le motivazioni in maniera chiara e diretta.
D’altro canto, un aspetto in cui alcuni pazienti possono sorprenderci è la  capacità di reazione nelle situazioni estreme. Forse perché alle situazioni estreme sono, non dico quotidianamente, ma con frequenza, abituati.

Quello che però non bisogna dimenticare è che questa stessa condizione può, però, essere anche peggiorativa del quadro clinico per l’allarme che crea, per la pressione cui queste persone possono essere sottoposte. Non tutti rispondono allo stesso modo. 

Questo è importante tenerlo presente. Le generalizzazioni sono possibili ma non corrette da un punto di vista scientifico e clinico. Dobbiamo sempre considerare che ogni individuo ha una sua identità dal punto di vista psichico e, quindi, anche una maggiore o minore fragilità.  Se molte volte vediamo una capacità di resistenza inaspettata, dall’altra, dobbiamo essere attenti a saper cogliere quelle situazioni di minore capacità di adattamento e di maggiore fragilità e di, purtroppo, possibilità di peggioramento dei quadri clinici».

L’ansia da Coronavirus influisce sui problemi psichiatrici

Con questo ha risposto a un’altra mia domanda. Volevo chiederle se i problemi psichiatrici relativi ai disturbi d’ansia sono in aumento, in questo periodo, proprio a causa del COVID-19

«È indubbio che, in una situazione assolutamente eccezionale per tutta la popolazione, è qualcosa che crea stati emotivi al limite del sopportabile per chi affetto da disturbi psichiatrici. Tuttavia, credo che sarà cruciale seguire e capire nel tempo l’evoluzione di quello a cui stiamo assistendo. Alcuni disturbi potranno certamente aumentare di frequenza ma, in questo momento, dobbiamo evitare sovra- o sotto-interpretazioni o peggio ancora semplificazioni. 

Ora il grosso rischio, anche per la salute mentale, è quello di non prendere le misure in maniera corretta. Quindi, con il rischio di psichiatrizzare situazioni che sono di risposta normale alla condizione di elevato stress e di contro, invece, di non vedere e sottovalutare situazioni che rappresentano motivo di grande difficoltà da parte della persona e, quindi, richiedono intervento. Bisogna essere estremamente equilibrati in questa fase».

Disturbi post traumatici da stress

Date le necessarie precauzioni di isolamento prese dal governo, per evitare il contagio del virus, quando tutto questo finirà e si potrà ritornare alla normalità, alcune persone potrebbero essere affette dal disturbo post traumatico da stress

«Anche qui credo che la risposta debba essere fatta con grande sobrietà ed equilibrio. Le condizioni che possono indurre alla cronicizzazione di comportamenti psichici anomali nella popolazione, non si basano solo sull’intensità dell’evento.  Questo certamente è un avvenimento intenso, soprattutto per come lo viviamo anche in maniera mediatica, ma si basa anche sulla durata.

La durata dell’epidemia e le possibili conseguenze di carattere psicologico

«Quindi dobbiamo augurarci, anzitutto ovviamente per l’andamento dell’epidemia, ma anche per le eventuali possibili conseguenze di carattere psichico, che si vada verso una riduzione del numero dei contagi e delle mortalità. E che la durata non sia così lunga.

Tuttavia è fondamentale anche tener presente questo: allo stato attuale, un’inferenza potrebbe basarsi su una valutazione di episodi o eventi analoghi pregressi ma sarebbe comunque una inferenza. I numeri che ne potremmo ricavare non sono certamente rigorosi.

Quello che invece dobbiamo fare con grande rigore è avere anche molta attenzione dopo. Cioè saper intercettare quelle situazioni e quei casi che, effettivamente, lo richiederanno, vuoi come conseguenza di questo, vuoi come interazione tra quanto sta accadendo e la suscettibilità delle singole persone, a poter sviluppare disturbi del comportamento.

Ma, indipendentemente da questo, quello che noi dovremmo fare con attenzione è saper cogliere queste variazioni.  In altre parole, allo stato attuale è difficile fare inferenze su quello che accadrà in termini numerici.  Dobbiamo invece prepararci a saper intercettare le situazioni complesse e avere una grande attenzione dopo.

Dobbiamo essere pronti a intervenire. Non facciamoci cogliere impreparati.  Dobbiamo assolutamente evitare l’aspetto speculare del fatto di essere stati, almeno in piccola parte, colti impreparati dall’evento epidemico.  Adesso non facciamoci cogliere impreparati da quelle che potrebbero essere le conseguenze, senza che questo significhi che saranno assolutamente ineluttabili o che andremo verso un’epidemia di disturbo post-traumatico. Non penso che in questo momento sia corretto e sia scientificamente supportato da basi solide una predizione di quello che potrà accadere».

In che misura gli effetti del contagio da COVID-19 resteranno nella memoria della popolazione italiana?

«Io ritengo che gli aspetti più acuti, più estremi di quello che sta accadendo, come non avere contatto con gli altri, non poter abbracciare i propri cari, il dover rinunciare anche ad aspetti importanti della quotidianità, con il tempo tenderanno a sfumare. Anche se, ovviamente, ne avremo traccia importante nei nostri ricordi.

Ci sono, secondo me, aspetti che richiedono più attenzione, più rispetto nel riferirvisi: il primo è quello della memoria di coloro che sono stati colpiti in prima persona dall’evento. Quindi sono stati ricoverati in reparti di degenza e in strutture di terapia intensiva e coloro che hanno perso i propri cari, amici o colleghi. E qui penso anche a tutti gli operatori della salute, dagli infermieri ai medici, a quanti, nonostante gli impegni personali, sono stati stato coinvolti.

Qui la memoria sarà molto diversa e non ci saranno grosse inferenze psichiatriche che terranno. Lì dovremo veramente essere bravi e attenti e dare tutto il supporto possibile in queste situazioni. Supporto che non è, a mio giudizio, solo ed esclusivamente riconducibile a una componente psicologica o psichiatrica ma anche a questa.

Un’altra e secondo me rappresenterà anche la parte di uno zoccolo duro di una memoria difficile da mandar via e dolorosa, è di quanti saranno colpiti da crisi economiche e che investiranno la quotidianità, l’attività di tutti i giorni, qualora l’epidemia dovesse avere tempi lunghi.

Si tratterà di ferite profonde dal punto di vista della sussistenza quotidiana. Per questo dobbiamo essere pronti e fare tutto quello che possiamo perché questa epidemia, anche grazie al nostro contributo, sia breve. Sento parlare poco di questo ma credo che la chiave di volta sia il tempo». 

Rispettare le regole per impedire che questo virus si diffonda e far sì che i tempi di isolamento si abbrevino

«La vera essenza è che in molte situazioni è difficile capire il discrimine fra il lutto e quello che presenta una grave depressione».

Immagino che la depressione sia uno dei disturbi più difficili e frequenti da curare, soprattutto se si tratta di depressioni endogene

«Per quanto riguarda la depressione, le componenti familiari, più che genetiche, sono rilevanti anche se c’è da dire che certamente l’ambiente, le interazioni con gli altri, le componenti non meramente biologiche, hanno un’influenza importantissima.

Certamente c’è una parte, come qualsiasi evento della nostra esistenza sia in salute che in malattia, che è potentemente determinata dai nostri geni. Però, è una di quelle patologie in cui l’ambiente, la capacità di interazione con gli altri, le motivazioni dell’individuo e anche, purtroppo, le frustrazioni di ciascun, giocano un ruolo fondamentale. 

Questo è il motivo per il quale molte volte, anche nonostante le terapie farmacologiche e quant’altro, i risultati sono spesso deludenti. C’è un 30% di persone che non risponde ai trattamenti farmacologici associati anche ad altri trattamenti, come la psicoterapia, assolutamente necessari. Eventi di gravità eccezionale e vissuti con grande risonanza emotiva come quelli che stiamo attraversando possono essere macigni pesantissimi per coloro che soffrono di depressione maggiore o di altre patologie severe.

Così come in oncologia ci sono persone che non rispondono alle terapie, questo succede anche in psichiatria. Noi abbiamo pensato che fosse veramente importante dedicarci a questi pazienti che non rispondono a nulla e c’è grande difficoltà nel cercare trattamenti adeguati o,addirittura, nuovi trattamenti per la cura di questo tipo di malattie. Chi fa questo lavoro, spesso, ha una certa sensibilità altrimenti non lo farebbe».

Reparti ospedalieri di psichiatria e comunità terapeutiche

Nei reparti di psichiatria e nelle comunità terapeutiche ci sono persone ricoverate con gravi disturbi. Voi medici come affrontate questa situazione di emergenza all’interno di queste strutture?

«Secondo me non esistono ricette assolute, in questo momento credo che, laddove ci siano strutture con pazienti psichiatrici di diversa gravità, sia veramente importante gestire del tempo significativo nello spiegare quello che sta accadendo. Anche perché spesso le persone, in questa fase, sono separate dal mondo esterno e bisogna anche chiedere, qualche volta, il sacrificio ai pazienti e ai familiari di evitare o ridurre al minimo indispensabile qualsiasi tipo di visita. Cosa che invece si fa tutti i giorni, soprattutto in un reparto psichiatrico, dove ci sono le condizioni e i pazienti si incontrano con i familiari.

Quindi, essere molto attenti alla comunicazione e, credo, anche nel far fluire una vita, una quotidianità, che non deve essere diversa dal resto.  Perché il grosso rischio è questo: se  anche noi come operatori, come medici e quant’altro, ci allontaniamo perché coinvolti in prima persona per quello che sta accadendo, rischiamo, in qualche modo, di scotomizzare l’attenzione che dobbiamo avere in questo momento forse più che prima, per quanti sono ricoverati in un reparto psichiatrico.

Ci dev’essere il fluire della vita, come era prima, anche all’interno di ospedali psichiatrici, delle comunità terapeutiche e le assicuro che non è facile. Ma lo dobbiamo fare con grande forza.  È un momento in cui tutti dobbiamo dare un contributo. Non possiamo permetterci di cedere di un millimetro».

È una cosa bellissima quella che state facendo per queste persone che soffrono. Richiede molta forza e impegno

«È anche una questione di grande necessità, non si può fare diversamente. Queste sono persone che hanno una sensibilità e un bisogno maggiore di tutti noi. Queste sono anime in cui apparentemente si percepisce una corazza marmorea ma, basta poco, perché il marmo si sgretoli mostrando una sensibilità, un’anima, fuori dal comune».

Numero verde ONA

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