Gli oceani e il mare, oltre che per la loro incomparabile bellezza, hanno un valore inestimabile per il nostro pianeta: il futuro dell’umanità dipende dalla salute delle acque e dalla loro capacità di fornire beni e servizi.
Nell’Adriatico 194 tonnellate di plastica in sei anni
Il report WWF “Reviving the Ocean Economy” mostra che l’oceano si colloca tra le 10 economie del mondo: il valore annuale dei suoi beni (il “prodotto marino lordo” equivalente al prodotto interno lordo di un Paese), ammonta ad almeno 2.500 miliardi di dollari americani, per un valore complessivo di 24mila miliardi di dollari.
Inclusi in questo valore troviamo i prodotti diretti dell’oceano (pesca e acquacoltura), i servizi indiretti (turismo e istruzione), il commercio e i trasporti (costieri e oceanici) e i benefici indiretti quali il sequestro del carbonio e le biotecnologie.
Inquadrandolo in un contesto internazionale, se l’oceano fosse un Paese avrebbe la settima economia più grande del mondo, ma è bene precisare chesi tratta di un valore ampiamente sottostimato, poiché l’analisi fornita dal report non include i benefici immateriali che derivano dall’oceano come: la regolazione del clima, la produzione di ossigeno, la stabilizzazione della temperatura del nostro pianeta o i servizi culturali e spirituali che l’oceano offre.
Purtroppo, l’inquinamento dei mari causato dalla plastica sta provocando problemi alla flora, alla fauna e all’uomo.
La plastica, usata soprattutto per la sua economicità, è difficile da smaltire a causa della sua resistenza e durabilità nel tempo.
Per questo è importante promuovere politiche di riciclo e riduzione di materiali plastici al fine di ridurre questo tipo di inquinamento.
Secondo i principali risultati delle attività condotte dall’Ispra e dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, SNPA, per monitorare la qualità dei nostri mari, più del 70% dei rifiuti è depositato nei fondali italiani e il 77% è plastica.
Il mare di Sicilia, con 786 oggetti rivenuti e un peso complessivo superiore ai 670 kg, conferma la sua collocazione tra le discariche sottomarine più grandi del Paese, seguita dalla Sardegna con 403 oggetti nella totalità delle 99 cale e un peso totale di 86,55kg.
La situazione varia da area ad area e in base alle zone monitorate: nei fondali rocciosi, dai 20 ai 500 m di profondità, le concentrazioni più alte di rifiuti sul fondo si rilevano nel Mar Ligure (1500 oggetti per ogni ettaro), nel golfo di Napoli (1200 oggetti per ogni ettaro) e lungo le coste siciliane (900 oggetti per ogni ettaro).
La situazione che ne emerge appare molto grave e rappresenta la prima base conoscitiva di riferimento sulla quantità dei rifiuti marini nei diversi comparti (fondali marini, colonna d’acqua e spiagge).
Ogni anno, circa 8milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare
Ma come arrivano in mare? Sicuramente attraverso i fiumi che costituiscono la principale via di trasporto dei rifiuti marini.
I risultati emersi dal monitoraggio condotto dall’ISPRA, nell’ambito del progetto europeo MEDSEALITTER negli anni 2017 e 2018, mostrano i trend e i range di densità dei macrorifuti galleggianti in alto mare, vicino la fascia costiera e vicino la foce dei fiumi.
I dati parlano chiaro: la foce dei fiumi presenta il maggior quantitativo di rifiuti galleggianti (più di mille oggetti per km2) e vicino la costa tra i 10 e i 600 oggetti per km2. Più ci si allontana in mare aperto e più il numero di oggetti scende a 1 – 10 per km2.
La situazione dei fondali italiani è allarmante: nella regione Adriatico-Ionica la media degli scarti rinvenuti supera i 300 rifiuti ogni km2, dei quali l’’86% è plastica, in particolare usa e getta (il 77%).
I rifiuti più comuni sono: imballaggi industriali e alimentari, borse/shopper e bottiglie di plastica, comprese le retine per la mitilicoltura (queste ultime particolarmente abbondanti lungo le coste italiane.
L’area costiera a sud del delta del Po (983 rifiuti a km2), quella settentrionale (910 rifiuti a km2), meridionale (829 rifiuti al km2) di Corfù e le acque di fronte a Dubrovnik (559 rifiuti al km2) sono le località adriatiche–ioniche con la maggiore densità di rifiuti in fondo al mare.
È stata fondamentale la collaborazione dei pescatori nel monitoraggio dei fondali marini condotta in Adriatico dal 2013 al 2019: sono rinvenute nelle reti di 224 pescherecci coinvolti in due progetti di ricerca europei (DEFISHGEAR e MLREPAIR), 194 tonnellate di rifiuti “incastrati”.
Solo nella marineria di Chioggia sono state raccolte 45 tonnellate.
E le condizioni non migliorano salendo in superfice: le quantità di macroplastiche rinvenute raggiungono una densità media che oscilla all’incirca tra i 2 e i 5 oggetti flottanti per km2, mentre la densità media delle microplastiche, ossia particelle più piccole di 5 mm, è compresa tra 93 mila e le 204mila microparticelle per km2 .
Non va meglio neanche lungo le spiagge: i litorali nazionali “ospitano” dai 500 ai 1000 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia.
Quello dei rifiuti marini è un problema che supera i confini nazionali: lo dimostrano i risultati ottenuti dall’analisi dei rifiuti ingeriti dalla tartaruga marina Caretta caretta dal progetto europeo INDICIT condotto dal 2017 al 2019.
Su 1.406 tartarughe analizzate (458 vive e 948 morte), il 63% presentava plastica ingerita e quasi il 58% degli esemplari vivi di Caretta caretta aveva plastica nelle feci.
I valori riscontrati in Italia non si discostano da quelli rilevati nell’ Atlantico (70.91%) e nel Mediterraneo (61.95%).
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