“Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità’ della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente”
Coltivare piantine di cannabis per uso domestico non è reato
La Corte di Cassazione con una sentenza depositata il 16 aprile 2020, ha assicurato il principio di diritto emesso già con una informazione provvisoria lo scorso 19 dicembre.
Inoltre la Suprema Corte ha chiarito che:
“devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.
Le sanzioni previste dall’articolo 75 del Testo unico sulle droghe (Dpr 309/1990) NON si applicano dunque nell’ambito della “coltivazione domestica destinata”, perché “tale disposizione non si riferisce in nessun caso alla coltivazione, neanche a quella penalmente rilevante”.
Qualora “la coltivazione domestica a fini di autoconsumo produca effettivamente una sostanza stupefacente dotata di efficacia drogante, le sanzioni amministrative potranno essere applicate al soggetto agente considerato non come coltivatore, ma come detentore di sostanza destinata a uso personale”.
La sentenza delle Sezioni unite penali specifica dunque che
“devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo, per mancanza di tipicità, nonché la coltivazione industriale che, all’esito del completo processo di sviluppo delle piante, non produca sostanza stupefacente per mancanza di offensività in concreto”…
Mentre “la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo”.
Quanto, infine, alla coltivazione “penalmente illecita”, restano comunque applicabili sia il principio di non punibilità se ricorrono i presupposti della “tenuità del fatto” sia la “lieve entità” di cui parla l’articolo 73 del testo unico sulle droghe. (Fonte Agi)
Cannabis: storia di un passato tempestoso
L’ordinanza del 16 aprile, apre uno spiraglio di ottimismo riguardo all’utilizzo di una pianta spontanea che ha attraversato dei periodi bui.
Ci riferiamo alla proibizione della marijuana, un capitolo della nostra storia più recente sostenuto da diversi fattori e interessi.
In questo articolo analizzeremmo cronologicamente i fatti storici che portarono alla proibizione della cannabis e relativi protagonisti. Gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo decisivo nella proibizione della cannabis. Nel 900 dichiararono guerra alla pianta, contribuendo ad estenderne il divieto a livello mondiale.
E dire che la Dichiarazione d’Indipendenza fu scritta proprio su carta di canapa.
Cannabis è una pianta molto usata
La cannabis è stata largamente e legalmente utilizzata in tutte le epoche storiche. Alcuni dei suoi usi (tessili, medicinali, ricreativi e religiosi) risalgono addirittura al 7000 a. C.
La tela di canapa realizzò le caravelle di Cristoforo Colombo. Michelangelo affrescò la Cappella Sistina sopra una base di canapa (era nota la sua proprietà di trattenere i colori). Si utilizzò persino per stampare la prima Bibbia di Gutenberg.
È un materiale ignifugo, antisismico, isolante termico ed acustico.
L’Italia è stata per secoli, fino alle prime decadi del ’900, il secondo produttore mondiale di canapa dopo l’Unione Sovietica. In tutta la penisola, ancora nel 1910, si coltivavano a canapa oltre 80mila ettari di terreni, oltre la metà dei quali in Emilia-Romagna.
I famosi “canaponi” erano largamente impiegati in ambito tessile, fino a quando nel 1961 il governo italiano non sottoscrisse un documento internazionale chiamato “Convenzione Unica sulle Sostanze Stupefacenti” (seguita da quelle del 1971 e del 1988). Con essa, la canapa sarebbe dovuta sparire dal mondo entro 25 anni.
Noti anche gli usi alimentari della canapa
Infatti, l’utilizzo della canapa va dalla preparazione di farine, all’uso dei semi sia per condire gli alimenti sia all’interno di snack, per finire all’olio di canapa, un olio ricchissimo di omega 3 e privo di grassi saturi.
Quanto alle origini, si pensa sia nata nell’Himalaya e da lì si sarebbe diffusa in tutto il mondo, fino agli Stati Uniti. In Virginia, nel 1611, si promulga la prima legge sulla cannabis che invitava gli agricoltori a coltivare la pianta.
La rivalità tra Stati Uniti e il Messico
Agli inizi del ‘900 i messicani iniziarono a emigrare negli Stati dell’Ovest. Nel 1910 si scatenò la rivoluzione messicana, che vide contrapposti gli eserciti del Generale Pershing e Pancho Villa.
I messicani erano soliti fumare cannabis e la cosa venne associata a comportamenti illeciti e delinquenziali.
Per tali motivi la California adottò la Poison Act nel 1913, che proibiva “preparazioni di marijuana o erba pazza”.
Ben presto altri Stati americani aderirono alla campagna proibizionista e per meglio scatenare l’odio verso la cannabis, la battezzarono marijuana, termine usato dai messicani.
Cambiarne il nome, adottando in senso dispregiativo quello del gergo dei “nemici” non fece che alimentare l’odio per gli stessi e per la pianta.
Ancora assimilazioni razziali: il Jazz
Durante gli anni ’20, con l’esplosione del fenomeno Jazz, la cannabis fu largamente consumata dai musicisti afroamericani, nei locali di New Orleans a Chicago e Harlem.
Anche in questo caso, si diede una connotazione sociale ben precisa alla cannabis: era roba da neri, musicisti e criminali.
Si sfruttò ancora una volta l’odio razziale per associare la marijuana ai neri e ai messicani, considerati a tutti gli effetti delinquenti ed assassini.
L’epoca del proibizionismo negli USA
Contemporaneamente, negli Stati Uniti iniziò il “proibizionismo“. L’alcool venne vietato tramite un emendamento costituzionale. Poiché la cannabis non poteva ancora essere vietata a livello federale, nel 1930 fu creata l’Agenzia federale sui narcotici (FBN – Federal Bureau of Narcotics), con a capo Harry J. Anslinger.
Questi capì che la lotta alla cannabis lo avrebbe fatto avanzare all’interno dell’FBN. Attivò una forte campagna anti marijuana, avvalendosi della stampa scandalistica e sensazionalista per suscitare il panico nella popolazione americana.
L’aiuto di alcuni magnati anti cannabis
Nella sua campagna proibizionista, Harry J. Anslinger si avvalse dell’aiuto di William Randolf Hearst, magnate dell’editoria. Hearst aveva perso 800mila acri di terreno boscoso per mano di Pancho Villa e, dunque, aveva un certo odio verso i messicani.
Oltretutto dalla cannabis si può estrarre della carta sbiancata naturalmente senza bisogno di additivi e senza bisogno di abbattere alcun albero: ergo era una concorrente pericolosa ed ecologica da evitare.
Per tali motivi, Hearst impiantò la sua guerra contro la cannabis, avvalendosi dei suoi giornali per dare vita ad un vero e proprio allarme sociale.
Ai due magnati Anslinger ed Hearst si aggiunse anche l’azienda chimica DuPont.
DuPont aveva brevettato diversi materiali ricavati principalmente dal petrolio: il neoprene (1930), il nylon (1935), il teflon (1937) e la lycra (1959).
Anche in questo caso, la cannabis rappresentava l’alternativa ecologica ed economica da annientare.
Al via il disegno di legge Marijuana Tax Act
Nel 1937 Anslinger presentò il suo disegno di legge al Congresso, al fine di proibire la cannabis.
Gli unici a contrastarlo furono il dottor William C. Woodward e il magnate Ford.
Il primo il dichiarò che l’Associazione Medica Americana (AMA) era contraria alla legge ed evidenziò la totale assenza di prove sulla pericolosità della pianta.
Ford invece presentò la sua automobile totalmente realizzata con cannabis ed alimentata con biocarburante a base della stessa. La carrozzeria della vettura, nonostante venisse colpita a martellate, era in grado di tornare alla sua forma originaria e, oltretutto, era alimentata in maniera totalmente ecologica.
Ovviamente la cosa non piacque ai magnati e così venne approvata la Marijuana Tax Act.
Da quel momento, l’FBN divenne la sola autorità competente per autorizzare la realizzazione di studi riguardanti la cannabis e il cerchio tu chiuso definitivamente.
Dal 1950, l’FBN cercò di dimostrare che la marijuana fosse un trampolino verso le droghe pesanti, nonostante uno studio effettuato dai suoi stessi esperti, condotto su un campione di 602 persone con dipendenza da oppiacei avesse dimostrato che solo il 7% aveva una storia di assunzione di cannabis.
La marijuana non uccide per overdose
A tal proposito, precisiamo che non esiste al mondo una persona morta per overdose di cannabis e che non esistono programmi di disintossicazione della stessa ma solo programmi di recupero sociale.
Ricordiamo infatti che è una droga dal leggero effetto psicotropo. La sua eventuale dipendenza deriva soprattutto dall’uso del tabacco, che contiene sostanze che danno assuefazione e da fattori “sociali”.
Successivamente vennero varate misure e leggi sempre più restrittive, tra cui la Legge Boggs del 1951 e la Legge sul controllo dei narcotici del 1956.
All’inizio degli anni ’70, il presidente Richard Nixon dichiarò la guerra alle droghe e le identificò come il nemico pubblico numero uno.
Nel 1961 fu varata la Convenzione unica sugli stupefacenti, sottoscritta da 185 Paesi.
La Convenzione sulle sostanze psicotrope arrivò nel 1971.
Nel 1998 continuò la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope. Ffino a quando, negli scorsi decenni, il governo degli Stati Uniti ha stanziato più di 2,5 miliardi di dollari per l’attuazione delle sue misure proibizioniste in materia di droghe, senza per altro avere molto successo. La marijuana è la droga illecita più consumata al mondo. (Fonte Dinaferm.org)
Non ci sono connessioni tra l’assunzione Thc e un decesso
Wired.it scrive “per il National Institute of Health non ci sono evidenze scientifiche sufficienti per stabilire una connessione tra l’assunzione di elevate dosi di Thc e un decesso. La cannabis può accelerare la frequenza cardiaca, certo, e sono stati descritti casi di morte dopo il consumo di marijuana ma sempre in combinazione con patologie e altre terapie concomitanti”.
Persino la DEA (Drug Enforcement Administration), l’Agenzia federale antidroga degli Stati Uniti, attraverso la sentenza del giudice Francis Young, ha stabilito che in tossicologia “le sostanze vengono classificate in base alla DL-50”.
“L’acronimo DL-50 indica la dose di una sostanza, somministrata in una volta sola, in grado di uccidere il 50 percento di una popolazione campione di cavie. Vari ricercatori hanno cercato di determinare il livello DL-50 della marijuana attraverso test sugli animali, senza successo. In poche parole, i ricercatori non sono riusciti a somministrare dosi sufficienti di marijuana capaci di provocare la morte degli animali testati. Al giorno d’oggi si stima che il livello di DL-50 nella marijuana sia intorno ai 1:20mila o 1:40mila. In termini profani significa che per morire, un fumatore di marijuana dovrebbe consumare dalle 20mila alle 40mila volte il dosaggio normalmente contenuto in una sigaretta a base di marijuana. Un fumatore dovrebbe quindi fumare circa 680 kg di marijuana in circa 15 minuti per avere un effetto letale”.
A questo punto occorre spiegare il concetto di droga
La droga è qualcosa che crea dipendenza, fa male e in molti casi uccide.
Ebbene, a differenza di alcool e sigarette (tralasciando le droghe pesanti) che danno dipendenza, fanno male e uccidono. La cannabis non ha mai ucciso nessuno (almeno in quanto causa primaria).
Singolare tuttavia constatare che si può comprare il tabacco ai distributori, utilizzando la tessera sanitaria: con la tessera della salute, che utilizziamo per l’acquisto dei farmaci, si compra qualcosa che fa male!
Bella contraddizione! Eppure il Monopolio di Stato non vede questi dettagli e la cannabis fino ad oggi è stata equiparata alle droghe pesanti, anche e soprattutto in sede penale.
Uso della Cannabis in ambito medico
Discorso a parte merita l’utilizzo della cannabis a scopo medico.
I principi attivi della Cannabis aiutano nella terapia del dolore, nella cura di malattie autoimmuni, anoressia, Parkinson, SLA, sclerosi multipla, glaucoma, sindrome di Tourette, morbo di Crohn, epilessia, fibromialgia, ecc.
La Cannabis ha proprietà antinfiammatorie, rafforza il sistema immunitario e come analgesico è stato sostituito circa 100 anni fa dall’aspirina. Diversamente da quest’ultima, che come tutti i farmaci “chimici” creati in laboratorio, contiene un bugiardino con le relative controindicazioni, (molti sono i casi di decessi dovuti all’aspirina), la cannabis medica si ottiene attraverso una preparazione galenica e non ha controindicazioni.
I principali farmaci a base di cannabis sono Bediol, Bedica, Bedrolite, FM1 ed FM2 (Istituto Farmaceutico Militare di Firenze), Bedrocan, Pedanios 22/1 ecc.
Esistono olii da assumere per via sublinguale, farmaci da vaporizzazione in aerosol ma anche sotto forma di cartine per decozione in tisana, capsule apribili per decozione, capsule decarbossilate ad uso orale, estratto si alcool etilico di cannabis (tintura o tesina), in crema, ecc.
La legislazione sulla Cannabis medica
In Italia la cannabis terapeutica è legale dal 2007, quando il ministro della Salute Livia Turco riconobbe con un decreto l’uso terapeutico del cannabinoide delta-9-THC. Nel 2013, il ministro della Salute Renato Balduzzi estese la legalizzazione dei cannabinoide in forma vegetale.
Quindi si riconoscono anche in Italia, a scopo medico, gli impieghi della pianta di cannabis (parti vegetali, in particolare le infiorescenze della pianta), dei suoi estratti e preparati.
Dall’agosto del 2017 si può trovare liberamente in commercio e può essere anche mutuabile in determinati casi. La prescrizione, infatti, può essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale quando è presente una resistenza alle terapie convenzionali in caso di particolari diagnosi.
Le normative riguardanti l’uso delle parti vegetali a scopo medico risalgono al 2015 e modifiche successive. Per un riferimento normativo segnaliamo il Decreto 9.11.2015 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.279 del 30.11.2015.
A produrla è attualmente lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze. Tuttavia non è in grado di soddisfare la richiesta dei consumatori, tanto che nella maggior parte dei casi il farmaco viene importato dall’Olanda.
Si precisa che in base alla Legge Di Bella 94/98, che regola la prescrizione dei farmaci galenici, la cannabis medica può essere prescritta, a pagamento, per qualsiasi indicazione terapeutica per la quale sia presente “sufficiente letteratura scientifica accreditata”. È compito soltanto del medico verificare la disponibilità o meno della letteratura scientifica.
In sintesi, quando è a pagamento, qualsiasi medico di base o specialista può prescriverla.
Se invece la prescrizione è a carico del Servizio Sanitario Nazionale la decisione del medico varia da regione a regione.