LA CORTE DI APPELLO DI ROMA CONDANNA, NEL RITO CIVILE, IL COMUNE DI APRILIA PER LA MORTE DI DANIELE GIOVANNONI. L’ALLORA QUINDICENNE CADDE DAL MOTORINO A CAUSA DI UNA BUCA SULLA STRADA. ACCOLTO IL RICORSO DELL’AVVOCATO EZIO BONANNI, I GIUDICI AUMENTANO IL RISARCIMENTO NEI CONFRONTI DEL PAPÀ E DEI FRATELLI
A causa di una buca sull’asfalto, in via Toscanini ad Aprilia, il 30 agosto del 2005, Daniele Giovannoni, è morto perché il motorino che lo stava riportando a casa si è ribaltato e lo ha scaraventato per terra. Daniele aveva appena quindici anni.
Dopo diciotto anni da quel nefasto giorno, la Corte di Appello di Roma ha confermato la condanna del Comune di Aprilia, “quale custode della strada, nella determinazione dell’incidente”.
Dalle deposizioni di testimoni e degli agenti della Polizia Municipale di Aprilia intervenuti sul posto, da fotografie generiche dell’incidente e “rilievi fotografici” eseguiti dai due tecnici incaricati dalla famiglia Giovannoni, “da tali atti, ed in particolare dagli accertamenti del c.t.u. Muzzi – è scritto nel dispositivo -, è emerso con chiarezza che, come sostenuto dal Tribunale nella sentenza impugnata, vi è stata un’esclusiva responsabilità del Comune di Aprilia, quale custode della strada nella determinazione dell’incidente”.
La consulenza tecnica scagiona Daniele
“Il consulente del pubblico ministero – scrivono ancora i giudici – pur affermando che la presumibile velocità a cui viaggiava il ragazzo fosse di 70 Km/h, ha comunque dichiarato che la causa del sinistro doveva essere individuata esclusivamente nello stato di cattiva manutenzione della strada atteso che, se il manto fosse stato integro, avrebbe consentito al ciclomotore di percorrere la curva sinistra ad ampio raggio senza perdere aderenza”.
Infatti, il consulente di parte, in seguito ha accertato che il valore massimo della velocità del ciclomotore dello stesso tipo guidato da Giovannoni non potesse superare il limite di 50 Km/h. E che “in mancanza di prova contraria” circa possibili manomissioni sul vano motore (carburatore, un filtro d’aria, cilindro), il ciclomotore del quindicenne “era conforme alle prescrizioni del Certificato di Circolazione”.
Oltre allo strazio per la perdita del figlio, la famiglia ha dovuto subire anche le lungaggini della giustizia. Dopo cinque anni dall’incidente il padre si incatenò davanti al Tribunale di Latina. Chiedeva solo che ci fosse un processo che riconoscesse i responsabili del sinistro. La sentenza di Cassazione del procedimento penale è arrivata soltanto nel 2019.
Il ricorso incidentale dell’avvocato Ezio Bonanni
I giudici della Corte di Appello di Roma hanno accolto il ricorso incidentale dell’avvocato Ezio Bonanni, che assiste il padre e i fratelli di Daniele, e hanno aumentato la somma del risarcimento.
Dopo l’ “evento traumatico luttuoso”, il papà e i fratelli di Daniele sono stati colti da marcata depressione, per cui hanno dovuto fare ricorso a cure mediche. Tali “da giustificare, secondo il Collegio una maggiore personalizzazione del danno rispetto a quella già riconosciuta a tale titolo dal Tribunale portando il complessivo risarcimento all’attualità in favore di Giovannoni Remo ad euro 350.000 e quello in favore degli appellati Mirko e Giorgia Giovannoni ad euro 150.000”.
In primo grado il padre Remo aveva ottenuto 320mila euro, la stessa somma era stata concessa alla madre Aurora Siani e 140mila euro ognuno per il fratello e la sorella, Mirko e Giorgia. L’avvocato Bonanni ha chiesto anche i danni biologici, psicobiologici e psichici.
Infatti, nel corso del processo è stato dimostrato che Daniele Giovannoni, in seguito all’incidente, ha subito un “danno biologico” o cosiddetto “danno terminale”. Questo perché “nei 30/40 minuti intercorsi tra l’evento e la morte in quanto egli sarebbe stato perfettamente consapevole del trapasso”, come accertato dal collegio giudicante e come richiesto dall’unanime orientamento della Suprema Corte di Cassazione a partire dalla pronuncia della Corte di Cassazione Cass. S.U. 15350/2015.
“La teste V. M., sentita nell’immediatezza dagli agenti della Polizia Municipale, ha dichiarato: “Poco dopo che ero accanto a lui ho visto il suo viso diventare sempre più viola e poi uscire una lacrima e infine un rantolo e poi più nulla”, è scritto nella sentenza.