LA NOTA CANTAUTRICE STATUNITENSE BILLIE EILISH, SUL NUMERO DI VOGUE DI GENNAIO, ABBRACCIA UNA CAUSA MOLTO IMPORTANTE. SUPPORTARE ALCUNI GIOVANI ATTIVISTI CONTRO IL CLIMATE CHANGE, PARTECIPANDO A UN CORTO A TEMA E CHIEDENDO AL ROTOCALCO DI CONDIVIDERLO NELLA COPERTINA DIGITALE A LEI DEDICATA
Il mensile Vogue di gennaio ha dedicato alla notissima cantautrice californiana Billie Eilish una delle sue copertine digitali più glamour. Ma anche particolarmente importanti, perchè il pezzo, oltre a contenere una bellissima intervista, ci mostra qualcosa di veramente speciale. Uno short movie dal titolo “Our Future“, ispirato alla nota hit della cantante “My Future”, che illustra alcuni aspetti importanti del movimento globale contro il Climate Change
Lo short movie
Il cortometraggio è opera del regista statunitense Mike Mills (già autore, tra gli altri, dei celebri film “20th Centuries Women” e “C’mon C’mon”.
Otto giovani attivisti dialogano tra loro, scambiandosi esperienze su ciò che fanno quotidianamente contro la crisi climatica e per salvaguardare il futuro del pianeta. Billie Eilish, che ha partecipato al corto sposando la loro causa, ha chiesto a Vogue di condividerne la copertina e diffonderne la mission.
Per l’occasione, Mills ha scelto, appunto, My Future come soundtrack, rivisitandone sia il titolo sia il significato e facendola eseguire da un gruppo di bambini della Fender Play Foundation.
“Cause I, I’m in love, with my future. Can’t wait to meet her” recita il brano, il quale fa riferimento ad una rinascita interiore dell’artista, che non vede l’ora di conoscere la nuova se stessa del futuro e amarsi di più.
Nel mini film invece, il senso della canzone viene ampliato. Il futuro di Billie diventa anche il nostro futuro e quello di tutto il Pianeta. Quasi un inno di speranza, che possono intonare tutte le generazioni, in vista di un ambiente vivibile per chi verrà dopo di noi.
Il ruolo di Billie Eilish
Il regista utilizza la formula vincente e toccante del “dialogo a cuore aperto” tra l’artista e gli altri protagonisti del video, su temi particolarmente spinosi. Risultato assicurato, dunque, per far luce su diversi argomenti come clima, ambiente, giustizia sociale, razzismo, parità di genere e salute alimentare.
La stessa cantante, attiva da tempo in materia, dice di volerne sapere di più, confessando “di essere molto in ansia per il problema del Climate Change”.
Ed è curiosa di capire come facciano questi ragazzi a sentirsi a proprio agio e restare “forti”, nell’affrontare tutti i giorni un tema così preoccupante. Una motivazione forte, dunque, quella di Eilish, che vuole contribuire alla lotta in difesa del clima.
“I had to be part of this movement” (dovevo far parte di questo movimento), dichiara, infatti, Billie, riferendosi alle iniziative presentate in video, intese come parti di un intero movimento, nato per arginare il problema. “La gente il più delle volte non riesce a realizzare certe cose, a meno che non le provi sulla propria pelle. Ed è difficile da capire quando – in superficie – la vita sembra perfetta e non c’è nulla che non va».
Ma per la cantante questo non è il primo impegno a sostegno degli attivisti. Ricordiamo, infatti, che lo scorso giugno, in collaborazione con la madre Maggie Baird (attrice e fondatrice dell’organizzazione Support+Feed ), lanciava l’Overheated Live alla London 02 Arena.
Una speciale tappa del suo tour Happier Than Ever, che riuniva musicisti, attivisti e designer per discutere, appunto, sulla crisi climatica. Interessante anche l’allestimento 100% vegan dell’evento – essendo Billie Eilish vegana – con l’abolizione di tutti i prodotti di origine animale. Dal cibo ai vestiti. Tra gli ospiti, proprio alcuni dei giovani presenti nel video di Mills.
E a proposito di veganismo, questo viene anche citato nel film, come forma di ambientalismo. Sul punto Billie racconta: «Mi ricordo quando stavo iniziando a capire che cosa stavano causando l’industria della carne e casearia al nostro pianeta. Ero rimasta sconvolta. Esclamai: che cosa???».
Riferendosi, naturalmente, all’impatto che un certo tipo di produzione genera sull’ambiente, quando viene esercitato in modo intensivo e sconsiderato.
L’impegno degli attivisti
La caratteristica di fondo del loro lavoro si basa sull’unione delle singole conoscenze. “Together we know everything” (tutti insieme, sappiamo tutto). Questa è la filosofia che li accomuna con entusiasmo e fermezza, intesa come volontà di unire le proprie competenze e quelle degli esperti, per raggiungere l’obiettivo comune.
Che poi, è un po’ il senso di quanto già anticipato da una giovanissima Greta Thundberg, pioniera dell’attivismo delle nuove generazioni.
Ma vediamo, in breve, chi sono i militanti e cosa fanno
Quannah Chasinghorse. Modella e attivista che fa parte dell’Arctic National Wildlife Refuge a difesa dei rifugiati e degli indigeni che vivono in Alaska. Ha lottato, infatti, per fermare le attività estrattive in quelle aree. «Dopo aver presenziato a vari congressi e aver appreso la minaccia del climate change – dice Quannah – non potevo restare ferma, lasciando che queste informazioni restassero chiuse in me, senza far nulla».
Wawa Gatheru è la fondatrice della Black Girl Environmentalist, comunità di supporto dedicata alle donne di colore e alle persone non-binary, che si muovono nell’ambito delle problematiche relative all’ambiente. La sua ong, infatti,celebra tutti i giorni il “black environmentalism”, ossia ciò che le ragazze, le donne e tutta la gente non binaria di colore hanno apportato al movimento ambientalista negli anni e che continuano ad apportare.
Nalleli Cobo è co-fondatrice della campagna People Not Pozos, movimento cittadino di base, che lotta per fermare le trivelle di alcune grandi compagnie, nelle aree a sud di Los Angeles. Lo scopo principale non è solo quello di difendere il territorio, ma anche i diritti delle minoranze che vivono in quelle aree e che vengono trattate dalla legge come “entità minori”. Si chiede più giustizia sociale, dunque, contro una forma di razzismo ambientale perpetrato subdolamente verso una parte della popolazione.
Tori Tsui, attivista per la giustizia climatica, è membro della coalizione Unite For Climate Action e autrice del libro It’s Not Just You. L’opera affronta il tema dell’interconnessione esistente tra salute mentale e cambiamento climatico e sarà sul mercato la prossima estate.
«Per me – afferma Tori riferendosi al concetto di crisi climatica e alla parola clima – il significato e la percezione di essa è stata edulcorata. Per essere precisi, dovremmo chiamare il fenomeno “crisi derivante da tutti i sistemi di oppressione”».
Gli altri quattro attivisti
Maya Penn. CEO della sua casa di moda ecosostenibile Maya’s Ideas e artista. L’imprenditrice sostiene che «siamo sempre stati qui – inteso come genere umano sulla Terra. – I nostri antenati erano qui a cercare di difendere il pianeta prima ancora che la parola “sostenibilità” esistesse. Sono nata e cresciuta in Georgia, culla dei diritti civili e vedo che c’è una grande sovrapposizione, ormai, tra l’attivismo per i diritti umani e quelli legati all’ambiente».
Maya, cioè, sostiene l’idea che tutti i problemi ambientali si riflettano sui diritti umani. E l’attivismo dovrebbe servire per “ristrutturare” il mondo e le nostre priorità, anteponendo la tutela dei principi “primi” dell’uomo e della vita ad altri. Ad esempio, l’industria della moda, suo campo d’azione, dovrebbe impegnarsi sempre di più per ridurre l’impatto sull’ambiente, sulla vita delle specie esistenti e sul clima.
Isaias Hernandez, educatore ambientale, fondatore della piattaforma QueerBrownVegan e grande sostenitore del veganismo e della “ecological wealth”. Cioè la ricchezza ecologica, proposta come strumento contro la crisi climatica.
Diversa da quella materiale, la ricchezza ecologica rappresenta il cuore e l’anima di un più alto progetto di benessere continuo, per tutti noi e per tante specie viventi. Oltre che un mezzo per combattere il climate change. Perchè secondo Isaias, non servono grosse soluzioni tecnocratiche per risolvere il problema, ma semplici azioni dal basso, praticabili da tutti. Si pensi, ad esempio, agli orti urbani o all’ auto produzione di cibo più fresco e sano.
Sprona, così, la gente a non arrendersi e a non lasciarsi sopraffare dal climate doomism. Nuovo termine creato dai media, per indicare quel senso di pessimismo, tipico di coloro che pensano di aver ormai già perso la battaglia contro il cambiamento climatico.
Ryan Berberet, student leader, è una giovanissima sostenitrice del movimento globale, che muove i primi passi nella direzione giusta per supportare la causa.
Xiye Bastida è una delle principali organizzatrici del Friday For Future New York, Co-fondatrice di Re-Earth Initiative, nonchè fervente attivista sulla giustizia climatica.
Xiye, con Re-Earth, lavora e insiste per ridurre il divario sociale tra fasce di popolazione “privilegiate” e fasce emarginate dal sistema. Promuove, infatti, l’inclusività, l’accessibilità e l’unità, in modo che tutti possano aderire senza discriminazioni di razza o ceto, alla lotta in difesa del clima.
Il senso del suo discorso è «apprezzare – e accogliere – diverse prospettive, non significa autorizzare nè condonare forme di mancanza di rispetto o odio».
Concetto che si connette a ciò che sostiene nel video, in merito all’importanza dello “stubborn optimism” (ottimismo ostinato) di chi lotta per difendere il clima in situazioni limite.
Cioè di chi si aggrappa alla resilienza per sopravvivere, perché abita in zone di forte povertà o particolarmente problematiche. Questa gente reagisce lottando, anche in difesa del clima, perché non ha scelta.
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