Ho conosciuto l’opera cinematografica di Bernardo Bertolucci attraverso Vittorio Storaro, in un laboratorio-seminario promosso dal Politecnico di Torino nella Facoltà d’Architettura nei primi anni Ottanta, dal titolo: “Cinema e architettura”.
Il suo cinema prendeva forma, immagine e sostanza
Erano anni in cui ho iniziato l’avventura dello studio dell’architettura e Vittorio Storaro ci insegnò a illuminarla non solo per il cinema ma anche per la città vivente e per i luoghi dove si svolge la vita sociale.
È stato in quell’occasione che sentii parlare di Bernardo Bertolucci, suo amico fraterno, con cui aveva realizzato alcuni anni prima un’opera d’arte cinematografica ambientata nell’archiettura di Parigi. Ricordo ancora l’introduzione alla sua lezione: egli evidenziava l’importanza fondamentale dell’architettura e della luce applicata a essa, che nell’opera cinematografica si trasformano in immagini in movimento, in fotografia, in pittura. Dove il colore, determina l’ambiente in cui l’umanità, nel caso specifico gli attori, si muovono e vivono, raccontando storie, riflessioni, paure, gioie, passioni.
L’archiettura, il paesaggio e l’ambiente in cui l’uomo vive, mi risultò evidente e determinante per la qualità della vita sociale e compresi l’importanza dell’illuminazione artificiale applicata all’architettura, superando l’illuminazione tecnica e funzionale che, ancora oggi, l’ingegneria specifica ci impone.
Fui affascinato dal suo modo di illuminare l’architettura per raccontare il pensiero di Bernardo Bertolucci, in modo enfatico, teatrale, magnificamente evidente, in cui l’uomo viveva con naturalità, raccontandosi.
L’esempio più evidente è visibile nell’opera cinematografica “Ultimo tango a Parigi”, realizzato nell’architettura interna ed esterna della capitale francese, in cui e con cui, Bernardo Bertolucci ha raccontato gli stati d’animo dell’uomo contemporaneo nel suo contesto storico-architettonico.
Per Bernardo Bertolucci l’architettura è stata determinante per raccontare le sue opere d’arte cinematografiche. È stata il luogo in cui il suo cinema prendeva forma, immagine, sostanza e in cui si inserivano, come cammei, i racconti dell’umanità gioiosa, avvincente, perduta.
Nella primavera del 2018, incontrai insieme Bernardo Bertolucci e Vittorio Storaro al Teatro Petruzzelli a Bari, in occasione del Bif&st. L’emozione, a distanza di anni è stata, per me, enorme e la condivisi con alcuni amici e amiche, con cui riscontrammo e sottolineando l’idea dell’importanza dell’archiettura, del paesaggio e dell’ambiente nelle sue opere, nelle loro opere.
Questa idea è stata confermata dal ricordo, non dei dialoghi che, a distanza di tempo, ricordavamo sommariamente nel tema ma soprattutto ricordavamo i luoghi e l’architettura in cui Bernado Bertolucci ha voluto realizzare le sue opere. Come la cupa Parigi degli anni settanta, la solare Pechino nella Città Proibita nell’Ultimo Imperatore e non ultima la Toscana, l’Italia, nell’opera cinematografica “Io ballo da sola“.
Una Toscana meravigliosamente artefatta, in cui le colline del Chianti senese, disegnate e decise, che alludono agli sfondi pittorici di Simone Martini. In cui Bernardo Bertolucci inserisce la storia immaginata con Susan Minot, attraverso gli attori, i personaggi, le cose, nel pigmento e nelle paste pittoriche dei luoghi, dove il trionfo agricolo dei colori e del calore, racconta un frammento dell’Italia, del suo paesaggio, della sua architettura rurale, in un ambiente unico e irripetibile della campagna Toscana. In cui enfatizza e rappresenta l’Italia come Paese in attesa di essere compreso e restaurato, per prepararlo al futuro.
Per Bernardo Bertolucci, realizzare un’opera cinematografica in Toscana, nella sua architettura senese, nella campagna rarefatta, non è risultato meno politico delle altre opere, per una affine fierezza e rarefazione del colore.
La bellezza sembra essere prelevata con eleganza dal paesaggio, dalla vita, dall’ambiente in cui l’umanità vive. Un’Italia rilevata e rivelata nei suoi dettagli, dove si offre come un Paese piacevole, in cui viverci come premio della vita, offrendo la Toscana come luogo di sintesi tra arte, natura, colore, architettura, ambiente. Corpo e memoria di una storia di un territorio in cui, le immagini di Bernardo Bertolucci hanno la leggerezza mitica del ricordo di luoghi dove la bellezza è un fatto fisico e mentale.
Bibliografia essenziale:
Susan Minot, Bernardo Bertolucci, Io ballo da sola, Bompiani, Milano, 1996.
Film essenziali:
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