CON DUE GIORNI DI RITARDO SI ARRIVA FINALMENTE A UN ACCORDO SOFFERTO TRA LE PARTI ALLA COP27. INSIEME AI TRAGUARDI RAGGIUNTI CI SONO PERÒ ANCHE TANTI OBIETTIVI MANCATI.
Dopo due settimane di trattative, la COP27 si conclude all’alba di domenica 20 novembre con un successo per metà. A vincere il braccio di ferro finale, con ben due giorni di ritardo, i Paesi africani, mentre l’Unione Europea non riesce a imporsi.
Per la prima volta a Sharm El-Sheik, grazie anche al conflitto russo-ucraino, che ha rotto gli schemi a cui il mondo si era abituato, i Paesi del Sud del mondo sono riusciti a far sentire la propria voce, ma a caro prezzo per il pianeta.
I Paesi membri dell’UNFCCC, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, hanno firmato lo Sharm El-Sheikh Implementation Plan, documento la cui novità più importante riportata è la creazione di un fondo “Loss and Damage”, che apre nuovi orizzonti per una cooperazione multilaterale. Invece non ci sono decisioni rilevanti su nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni.
Giustizia climatica contro la mitigazione delle emissioni
La COP27 senza dubbio fa fronte al problema della giustizia climatica, ideando un fondo per aiutare i Paesi più colpiti dalla crisi del clima, ma anche meno responsabili. Purtroppo però questo successo è offuscato dalla poca volontà della presidenza egiziana di portare avanti la mitigazione e il taglio delle emissioni di CO2.
«Siamo orgogliosi di aver contribuito a risolvere il problema del “Loss and Damage”, ma sulle riduzioni delle emissioni qui abbiamo perso un’occasione e molto tempo, rispetto alla COP26 di Glasgow – sottolinea il Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres -. Da domani ci metteremo al lavoro per rimediare alla COP28 di Dubai. Siamo a 1,2 °C di riscaldamento e abbiamo sentito in questi giorni quali effetti questo stia già provocando. Ma la soluzione non è finanziare un fondo per rimediare ai danni. È investire le nostre risorse per ridurre drasticamente il rilascio di gas serra nell’atmosfera.
Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora e questo è un problema che COP27 non ha affrontato. La linea rossa che non dobbiamo oltrepassare è quella che porta il nostro pianeta oltre il limite di temperatura di 1,5 °C. Per avere qualche speranza di mantenere questo limite, dobbiamo investire massicciamente nelle energie rinnovabili e porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili. La COP27 si conclude con molti compiti e poco tempo».
La battaglia persa dell’Unione Europea alla COP27
Sebbene la fine della COP27 fosse stata stabilita per il 18 novembre, non è stata raggiunta una decisione finale fino a due giorni dopo. A opporsi fino all’ultimo è stata l’Unione Europea.
«L’Unione europea si è dotata da tempo di un piano che la allinea all’obiettivo degli 1,5 °C. E si è portata perfino oltre, rendendolo ancor più ambizioso. Non è a noi che si può imputare di non fare abbastanza – ha spiegato il vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans nei giorni precedenti l’accordo -. Non siamo pronti ad accettare un cattivo accordo. Meglio un non-accordo che un passo indietro. Abbiamo bisogno di andare avanti».
Infatti la presidenza egiziana guidata da Sameh Shoukry aveva tentato di barattare l’introduzione dei principi di un fondo per far fronte alle perdite e ai danni patiti dalle Nazioni più povere e più vulnerabili del mondo, con un abbassamento delle ambizioni sulla mitigazione. Questa opzione, però, è stata respinta con forza dall’Europa. «Se si decidesse di sforare l’obiettivo degli 1,5 °C – continua Timmermans- non avremo mai abbastanza denaro per fronteggiare tutte le perdite e i danni che patirà il mondo».
Alla fine tutto si conclude rimandando le “buone intenzioni” alla COP28 di Dubai. In questa occasione si dovrà decidere il picco delle emissioni al 2025 (o almeno prima del 2030) e indicare il phase-out, l’abbandono delle fonti fossili.
«La COP27 segna un piccolo passo verso la giustizia climatica ma serve molto di più per il pianeta – dichiara la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen -. Abbiamo trattato alcuni sintomi ma non curato il paziente dalla febbre. L’UE manterrà la rotta, in particolare attraverso il Green Deal europeo e RePowerEu, perché è essenziale mantenere l’ambizione dell’Accordo di Parigi a portata di mano».
Controversie geopolitiche: vincitori e sconfitti della COP27
Le difficoltà incontrate per siglare lo Sharm El-Sheik Implementation Plan riflettono il caotico scenario geopolitico attuale. Più che in altri anni sono emerse le controversie tra i vari Paesi. In particolare il tema tanto discusso è stato decidere chi avesse il compito di finanziare il “Loss and Damage”.
USA, Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone non vogliono, infatti, essere i soli a finanziare questa misura e chiedono ad altre potenze economiche di aggiungersi, soprattutto la Cina. Storicamente il Paese dell’Estremo Oriente fa parte degli Stati in via di sviluppo, seppur sia il più grande emettitore di CO2. Ma adesso sembra giunto il momento che anche la Cina sia compresa tra le Nazioni più sviluppate e diventi finanziatore, condividendo onori e oneri con gli altri. Ma l’accordo firmato alla COP27 sembra lasciare in sospeso questa controversia.
Il vero vincitore è ancora una volta il profitto
Inoltre non bisogna dimenticare che, anche se l’evento è stato la vera dimostrazione degli obiettivi che possono essere raggiunti dall’azione congiunta di attivisti e delegati di piccoli Paesi, questo ha avuto un prezzo. Infatti nel testo finale non si fa riferimento all’eliminazione dei combustibili fossili. L’appello dell’India di estendere a gas e petrolio la diminuzione graduale, decisa a Glasgow per il carbone, è rimasto inascoltato. Grazie al supporto del ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, anche quest’anno gli interessi dei Paesi OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) sono stati salvaguardati, a discapito dell’ambiente.
Ma non dovremmo stupirci di questo risultato dato che già la scelta di organizzare la Conferenza internazionale sul clima in Egitto, Stato in cui i diritti umani non sono tutelati, è il risultato di come interessi economici e strategici hanno preso il sopravvento, spingendo i Paesi occidentali a stringere alleanze con i regimi autoritari.
L’impegno degli Stati Uniti in questa COP27
Il ruolo degli Stati Uniti nella decisione finale della conferenza è stato un po’ offuscato. Eppure l’intervento del presidente Joe Biden ha chiarito che gli USA sono pronti a maggiori investimenti per combattere la crisi climatica.
«La crisi climatica riguarda la sicurezza umana, la sicurezza economica, la sicurezza ambientale, la sicurezza nazionale e la vita stessa del pianeta. Lottare contro il cambiamento climatico è un imperativo – ha dichiarato il presidente USA -. La nostra missione è evitare una catastrofe climatica. Puntiamo a ridurre le emissioni del 50-52% entro il 2030 e gli Stati Uniti raggiungeranno il loro obiettivo alla data prevista. Il mio impegno sul clima è incrollabile. Faremo la nostra parte per evitare l’inferno climatico».
Inoltre l’America si impegna a finanziare, con 150milioni di dollari, gli sforzi di adattamento dell’Africa e aiutare il continente a proteggersi dai disastri climatici. Poi altri 500milioni di dollari saranno devoluti da Washington, insieme all’Europa e alla Germania, all’Egitto per finanziare la transizione verso l’energia pulita.
«La COP27 è un momento per scrivere una storia migliore per il mondo – continua Joe Biden -. Il governo sta mettendo i soldi là dove sono i suoi impegni sulla responsabilità climatica».
In cosa consiste il fondo “Loss and Damage”?
Il grande successo della COP27 è dato dalla creazione di un fondo “Loss and Damage” per sostenere i Paesi più vulnerabili ai disastri climatici, da rendere operativo entro COP28, in modo che già dal 2025 si possano erogare le risorse.
Ma ancora sono tanti i quesiti a cui rispondere: chi saranno gli Stati riceventi? Chi dovrà finanziare il fondo? Come sarà reso operativo? A far luce su questi punti ci sarà un Comitato transitorio, che dovrà redigere un proprio parere entro l’anno prossimo. Ne faranno parte trentacinque membri e sarà composto per la maggior parte da rappresentanti del Sud del mondo:
- quattro dall’Africa;
- quattro da Asia e Pacifico;
- da America Latina e Caraibi altri quattro;
- quattro dai piccoli Stati insulari;
- quindici dai Paesi più ricchi;
- quattro da altri Paesi meno sviluppati.
Gli altri temi discussi durante la COP27
Nonostante il raggiungimento dell’accordo sul fondo “Loss and Damage”, sono tanti gli ambiti su cui non si sono fatti passi avanti: niente 100miliardi di dollari all’anno per la finanza climatica, nessuna uscita dai combustibili fossili e nessuna tutela menzionata nell’ambito dei diritti umani.
Resta l’obiettivo di mantenere l’innalzamento delle temperature globali entro +1,5 °C, senza però fare riferimento al picco emissivo globale entro il 2025, richiesto dall’Unione Europea. Non viene inoltre evidenziata la necessità di avvalersi di Piani Nazionali di Adattamento specifici per le caratteristiche del territorio e basate sulle conoscenze locali e delle popolazioni indigene.
Sono accolte, invece, le raccomandazioni dell’High Level Expert Group sugli impegni a emissioni net-zero degli attori non statali, al fine di aumentare la trasparenza. Inoltre lo Sharm El-Sheik Implementation Plan invita gli azionisti delle banche multilaterali di sviluppo e delle istituzioni finanziarie internazionali a riformare le pratiche e le priorità delle Banche di Sviluppo Multilaterali (MDBs), a garantire un accesso semplificato e ad aumentare e mobilitare finanziamenti per il clima provenienti da varie fonti.
Infine è stato istituito un meccanismo di generazioni crediti di riduzione delle emissioni o di rimozione di CO2, che sostituirà il precedente meccanismo flessibile del protocollo di Kyoto, il CDM (Clean Development Mechanism).
Accordo alla COP27: mancano tutele alla biodiversità
Alla COP27 è stata dedicata per la prima volta una giornata alla biodiversità, un tema caro all’Egitto dato che la sua barriera corallina e i suoi ecosistemi marini sono fonte di turismo per il Paese.
Il cambiamento climatico rappresenta uno dei principali fattori di perdita della biodiversità e, a sua volta, l’accelerata distruzione della natura sta compromettendo la sua capacità di fornire servizi ecosistemici fondamentali per la vita sul pianeta, come la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento. È un vero e proprio circolo vizioso: il riscaldamento globale causa perdita di biodiversità e una natura non in salute riduce la possibilità di arrestare il cambiamento climatico.
Ma nulla sulla tutela della biodiversità è presente nel testo finale della conferenza. Si parla di agricoltura e di un piano di implementazione quadriennale per ridurre le emissioni di gas serra e aumentare la sicurezza alimentare. Tuttavia si evita di menzionare il ruolo che l’accordo avrà sulla biodiversità, sulle foreste, sul suolo e sull’oceano. Tutto è rimandato alla COP15 (contro la desertificazione), che si terrà il 7 dicembre a Montreal.
Eppure la speranza per una maggiore tutela della natura nell’accordo, in particolare delle foreste, era nata dopo l’intervento di Luiz Inacio Lula da Silva, rieletto a fine ottobre presidente del Brasile. Lula ha infatti promesso di mettere fine alla deforestazione illegale dell’Amazzonia, dopo che, negli ultimi anni, durante il governo dell’ultraconservatore Jair Bolsonaro, era aumentata vertiginosamente, sacrificando il “polmone verde” della Terra.
Il ruolo dei giovani alla conferenza sul clima
Questa edizione della conferenza sul clima sarà ricordata anche per l’inclusione giovanile nel processo negoziale, attraverso la nomina del primo giovane delegato della presidenza della COP.
Proprio per l’occasione, UNICEF Italia, Earth Day Italia e IAIA Italia hanno realizzato “Q Hack 4.0/Call 4 Earth – L’azione dei giovani per COP27“, con l’obiettivo di ispirare rappresentanti e decisori politici riuniti a Sharm El-Sheik. Negli ultimi anni i giovani hanno svolto un ruolo innovativo nel favorire un nuovo pensiero globale e chiedere la giustizia climatica. Tuttavia, le loro voci non sono ancora prese abbastanza in considerazione nelle normative, nelle politiche e nei programmi per contrastare i cambiamenti climatici.
E se questa edizione presentava tutte le premesse per una svolta, la realtà è stata un’altra: quella in Egitto è stata la Conferenza sul clima con minore libertà di espressione e critica. La denuncia proviene propria dalla giovane attivista ugandese, Vanessa Nakate, che racconta di come i giovani non hanno potuto far sentire le proprie voci a causa del divieto di manifestare.