LA CORTE D’APPELLO DI ROMA CONDANNA L’INAIL A INDENNIZZARE UN DIPENDENTE DI BANCA SAN PAOLO IMI PER IL DANNO DA MESOTELIOMA MALIGNO EPITELIALE. NELLA FILIALE LE FIBRE DI AMIANTO ERANO DAPPERTUTTO
La V Sezione Lavoro della Corte d’Appello di Roma, nei giorni scorsi, ha confermato la condanna dell’INAIL a indennizzare il danno da mesotelioma maligno epiteliale subito da un dipendente di Banca San Paolo IMI S.p.A.. L’uomo, che aveva 44 anni quando è insorta la patologia, era impiegato alla filiale di Roma Eur.
L’INAIL, che contestava la nocività dell’amianto nonostante le evidenze scientifiche, aveva impugnato la decisione del tribunale di primo grado, negando che l’amianto fosse la causa dell’infermità. Questa tesi, però, è stata respinta dall’avvocato Ezio Bonanni, che rappresenta e difende gli interessi dell’ex dipendente.
L’avv. Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto già nel primo grado aveva dimostrato, in maniera ineluttabile, l’esposizione all’amianto dell’impiegato di banca, per ragioni di lavoro.
L’edificio conteneva amianto e non era stato bonificato
Tesi confermata dalla sentenza emessa dal Giudice del Lavoro del Tribunale dei Roma Luca Redavid. Che scrive: “È documentalmente provato, e comunque non è contestato tra le parti, che il ricorrente affetto da mesotelioma maligno epiteliale”… “Il ricorrente ha dedotto che nel corso della sua attività professionale è stato esposto ad amianto presso la sede della San Paolo IMI S.p.A. di Roma, Viale dell’Arte n. 25, in relazione all’utilizzo dell’amianto, anche friabile, presente nella struttura e negli impianti, senza essere informato della condizione di rischio e privo di dotazione di sicurezza…”
La filiale romana dell’istituto bancario, infatti, era situata in un edificio che conteneva amianto, che è stato bonificato solo nel 2007, come ha sottolineato l’avvocato.
Secondo Bonanni, l’impiegato aveva lavorato presso la filiale San Paolo in Viale dell’Arte dal 2000 per 14 anni. E qui aveva respirato fibre di amianto, presenti nelle travi del soffitto, nella struttura dei locali e negli impianti. L’amianto è stato rimosso solo molti anni dopo l’inizio dell’attività lavorativa.
La Corte di Appello ha ribadito il diritto del lavoratore a essere indennizzato per i danni subiti
La dimostrazione della tardiva bonifica dell’amianto è stata fondamentale per la sentenza della V Sezione Lavoro della Corte d’Appello, presidente Giovanna Ciardi.
“Ciò è confermato – è scritto nel dispositivo – anche dalla documentazione relativa alle indagini ispettive del 2007 sull’edifico IMI di Viale dell’Arte n. 25, effettuate dal servizio PRESAL, dalla quale si evince come la precedente bonifica degli anni ‘80 non era stata condotta a regola d’arte, lasciando all’interno delle strutture dell’edificio residui di amianto. Risulta, inoltre, documentalmente provato che sin dal febbraio 1987, il Servizio di Igiene Pubblica, Settore Prevenzione, Igiene e Sicurezza sul Lavoro, dalla USL RM/12 aveva certificato una concentrazione di fibre di amianto aerodisperse di valore medio superiore a quello stabilito dall’art. 31 d.lgs. n. 277 /91, per cui la USL aveva ordinato all’IMI di procedere alla scoibentazione dell’intero edificio decontaminazione dei locali ma la bonifica terminata nel 1991 risultò solo parziale e quando il ricorrente ha assunto servizio presso la sede della Banca San Paolo, in data 28.08.2000, l’amianto deve ritenersi ancora presente”.
«Dopo questa condanna dell’INAIL – ha spiegato Bonanni – inizieremo la causa contro la Banca Intesa San Paolo per il risarcimento dei danni differenziali. Purtroppo tra i dipendenti bancari vi è un’alta incidenza di casi di mesotelioma».