«La cosa più drammatica è stata scoprire che con la gravidanza e l’allattamento, noi stesse contaminavamo i nostri figli con i Pfas».
Il più grande inquinamento industriale nella storia italiana
Questa la drammatica dichiarazione di Michela Zamboni una delle “Mamme no Pfas” che da quando hanno scoperto come il maggiore inquinamento della falda acquifera d’Europa ha cambiato la loro vita, si sono organizzate per ottenere giustizia e denunciare i ritardi e i silenzi delle istituzioni in Veneto.
Cosa sono i Pfas? I Pfas sono sostanze perfluoro alchiliche che, a partire dagli anni Cinquanta, si sono diffusi in tutto il mondo, utilizzati per rendere resistenti ai grassi e all’acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti ma anche per la produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, detergenti per la casa (fonte Arpa Veneto).
Una inchiesta condotta da Andrea Tomasi, collega del quotidiano l’Adige, ha messo in luce la contaminazione dovuta ai composti di Pfas, usati per decenni come impermeabilizzanti dalla Miteni, un’azienda – ora chiusa – con sede a Trissino (VI). «Stiamo parlando di una falda grande quanto il lago di Garda, la seconda più grande d’Europa». La contaminazione comprende le province di Verona, Vicenza e Padova. «I Pfas sono già arrivati al lago di Garda e nell’Adriatico. Vista la velocità di espansione finirà per coinvolgere almeno 800mila persone. Per non parlare per i rischi di contaminazione della filiera agroalimentare».
Tracce di queste sostanze nelle falde sono state trovate anche in Lombardia, Piemonte e Toscana.
«Il nostro gruppo – spiega Zamboni – è nato da quattro mamme che nel 2017 hanno ritirato i risultati dei primi screening voluti dalla Regione. Queste hanno scoperto che i loro figli, adolescenti, avevano nel sangue, alti livelli di Pfoa e Pfos: due sostanze identificate come cancerogeni e interferenti endocrini».
Tracce di queste sostanze sono state trovate, in seguito, anche nelle falde in Lombardia, Piemonte e Toscana.
Dopo le proteste, tra cui la petizione “Stop Pfas nel Veneto”, lanciata da Greenpeace, e l’apertura di un’inchiesta da parte della magistratura, sono stati messi i filtri agli acquedotti, ma non basta.
«I filtri bloccano alcune molecole, non tutte», spiega Tomasi, «e quindi tanti genitori non permettono ai figli di bere l’acqua dal rubinetto. Ci sono mamme che non mandano i figli a fare nuoto agonistico perché, come dicono alcuni studi del professore Carlo Foresta dell’Università di Padova, chi è immerso nell’acqua è più esposto a problemi di tiroide, di colesterolo, di sterilità femminile e possibili modifiche a livello genitale nei bambini».
«Per proteggere adeguatamente l’ambiente e la salute di un territorio e di una popolazione già gravemente colpita, deve essere evitata l’emissione nell’ambiente di ogni singolo nanogrammo di qualsiasi tipo di Pfas», dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna inquinamento di Greenpeace.
«Proprio per questo, da tempo chiediamo alla Regione Veneto che, oltre al rapido avvio della bonifica del sito produttivo di Miteni, vengano individuati e censiti tutti gli scarichi inquinanti, favorendo una rapida riconversione industriale di tutti quei processi produttivi responsabili dell’inquinamento da Pfas. Alternative più sicure a queste sostanze esistono e sono già disponibili sul mercato».
Michela Zamboni ha raccontato la sua battaglia durante la conferenza stampa di presentazione della video-inchiesta “PFAS quando le mamme si incazzano” di Andrea Tomasi, che si è svolta a Roma, presso la sede della rivista Il Salvagente.
«Come l’inchiesta che abbiamo presentato racconta», aggiunge Riccardo Quintili, direttore de “Il Salvagente” «emerge un quadro in cui gli enti di controllo e le istituzioni locali sapevano della contaminazione ma non sono intervenuti da subito. Questo ci dimostra, ancora una volta, che la voce dei cittadini che si organizzano per protestare e dei giornalisti che denunciano, può essere determinante per la sicurezza e la salute di centinaia di migliaia di persone».